Processo Stato - mafia
Palermo, Massimo Ciancimino: "Gestivo i pizzini tra Provenzano e mio padre"
"Mio padre conosceva Bernardo Provenzano e anche io e i miei fratelli lo conoscevamo Frequentava settimanalmente casa nostra. Ne ho ricordi fin dagli anni 70. C'era un rapporto familiare. Si presentava col nome di ingegnere Lo Verde". Comincia col racconto dei rapporti tra suo padre, Vito Ciancimino, e il boss Bernardo Provenzano il racconto di Massimo Ciancimino, imputato e teste al processo sulla trattativa Stato-mafia. "Una volta andando dal barbiere vidi sul settimanale Epoca l'identikit invecchiato di Provenzano e capii chi era. - prosegue - Tornando a casa chiesi a mio padre se fosse Lo Verde? Lui si fermò per strada e mi disse 'ricordati che da questa situazione non ti può salvare nessuno'". Ciancimino ha raccontato di avere frequentato Provenzano fino a poco prima della morte del padre. "Andavamo anche a mangiare fuori - ha aggiunto - Poi, quando l'azione dello Stato contro la mafia si fa più serrata, negli anni '80, abbiamo cominciato ad adottare delle cautele visto che Provenzano era latitante". Negli ultimi anni il boss e l'ex sindaco si sarebbero visti nella casa romana di Ciancimino.
"Provenzano si muoveva liberamente grazie a degli accordi che erano stati stretti in anni passati, me lo disse mio padre". Lo racconta, deponendo al processo sulla trattativa Stato-mafia Massimo Ciancimino. "Mi spiegò che tanto Provenzano non lo cercava nessuno e che godeva di tutela e si muoveva tranquillamente". "Lui si poteva muovere nel territorio italiano - ha osservato - e aveva potuto prendere la guida di Cosa nostra per fermare l'escalation di violenza che aveva avviato Riina e che questo rientrava negli accordi che aveva siglato con le istituzioni".
"Ho fatto da tramite nello scambio di 'pizzini' tra mio padre e Provenzano per molto tempo. Mio padre era molto cauto nel gestire la corrispondenza: li apriva con i guanti in lattice, li fotocopiava e poi li bruciava". Lo ha detto Massimo Ciancimino davanti alla corte d'assise che celebra il processo sulla trattativa Stato-mafia. L'imputato ha raccontato di avere fatto da intermediario anche tra il padre e Totò Riina. "Quando arrivava una lettera di Riina, che lui non stimava per niente, era un momento di ilarità", ha aggiunto alludendo al fatto che le lettere erano sgrammaticate. Ciancimino avrebbe preso da Antonino Cinà i messaggi del capomafia e di avere saputo solo nel 1992 che venivano da Riina. Quelli per e da Provenzano li gestivo io direttamente anche tra maggio e dicembre del 1992".
Il boss Totò Riina, ricoverato in ospedale per una insufficienza renale, stamattina è stato portato nel carcere di Parma per partecipare in videoconferenza all'udienza del processo sulla trattativa Stato-mafia in cui sta deponendo Massimo Ciancimino. Il capomafia assiste all'udienza steso su una lettiga.
"Mio padre riteneva Riina una persona limitata intellettualmente, un doppiogiochista e un uomo aggressivo. Non ne aveva alcuna stima, lo chiamava pupazzo". Lo ha detto Massimo Ciancimino al processo sulla trattativa Stato-mafia. Ciancimino ha ricordato che il padre, Vito, conosceva Riina e Provenzano da quando erano ragazzi. "Ne parlava come dei 'picciotti' di Luciano Liggio con cui lui aveva un rapporto di conoscenza - ha spiegato - Prima degli anni '80 ho visto Riina più volte. Accompagnavo mio padre alle riunioni anche con altri, ad esempio Santapaola, ma non partecipavo e attendevo fuori". "Riina - ha spiegato - veniva anche a casa nostra. Una volta litigarono per la vendita di un palazzo in via Libertà. Lui si divertiva a irritarlo. Diceva che era molto stupido e prevedibile e gli faceva fare lunghe anticamere che lui viveva come mancanze di rispetto".