Cinema
I "Cantastorie" all'Odeon di Avola, la Sicilia raccontata in parte
La bellezza, ma anche il degrado, dei paesaggi siciliani. La miseria materiale e, al contempo, la ricchezza morale. E poi una frase che riecheggia, possente: “La storia più bella è la tua”.
È stato proiettato ieri, al cinema Odeon di Avola, “I Cantastorie”, l’ultima pellicola del regista siciliano Gian Paolo Cugno. Girato tra Roma e la Sicilia - dalle piazze di Pachino e Marsala alla scalinata della cattedrale di San Nicolò di Noto, passando per la chiesa di San Vito di Mazara del Vallo, le spiagge di Pachino, Punta delle Formiche e Porto Ulisse - il film racconta la storia di Angelo (David Coco), che da ex imprenditore edile di successo, si ritrova a dover fare i conti non solo con la miseria e il precariato, ma anche con una moglie venale (Tiziana Lodato) che decide di lasciarlo. A un passo dal suicidio, il protagonista viene salvato dall’amore della (e per la) figlioletta Maria Teresa (Maria Teresa Esposito). Deciso a ritrovare se stesso, sceglie allora di tornare in Sicilia, sua terra natia, dopo 30 anni di assenza. Lì riscoprirà la gloriosa tradizione dei cantastorie itineranti.
Cugno firma una storia in cui, per 75 minuti, si viene proiettati in una realtà che, ad oggi, rispecchia sì quella che è la Sicilia… ma soltanto in parte.
Il regista, ahimè, resta fedele agli stereotipi di una Terra in decadenza, in cui il progresso si plasma in utopia. Ma, per fortuna, le vecchie case diroccate e le strade dissestate poco contano, per l’occhio di chi le guarda, se d’altro canto vengono mostrati anche scorci incomparabili che immortalano l’immenso cielo blu siciliano e un mare infinito, che brilla baciato dai raggi del sole, incantando.
La fotografia di Giancarlo Ferrando, però, sfrutta poco le potenzialità della location, e anche il montaggio di Ugo De Rossi appare spesso discontinuo. Degne di nota, invece, le musiche composte da Paolo Vivaldi che inondano di sicilianità i fruitori dell’opera. La recitazione è nel complesso sufficiente, anche se i dialoghi sono spesso poco curati e poco ricercati.