La storia. Andrea Colantonio: da Vittoria in Africa e ritorno, clandestino per lavoro
Andrea Colantonio, vittoriese, classe 1913, deceduto nel 1993, voleva a ogni costo lavorare nei possedimenti coloniali italiani del Corno d'Africa, dove serviva un’ingente manodopera qualificata per la realizzazione di opere pubbliche come ospedali, strade, porti, ferrovie, reti idriche, ma fu rispedito in Italia perché clandestino. Una storia di novant’anni fa che l’uomo, prima di morire, volle scrivere in un quaderno di 45 pagine, che il figlio Giuseppe custodisce come una reliquia.
Nel mese di dicembre del 1937, il giovane, che aveva prestato il servizio militare nella Regia Marina, partì in treno da Vittoria per Napoli, da dove navi, cariche di carni e generi alimentari, salpavano per l’Africa Orientale.
Spaesato e senza punti di riferimento, casualmente incontrò un carabiniere della sua città, lasciò i suoi abiti borghesi nella casa della suocera del militare, e indossò la divisa di marinaio, credendo che essa sarebbe stata un’ottima credenziale per compiere il viaggio della speranza.
Riuscì a salire, nonostante i controlli, nel piroscafo Nazario Sauro e grazie alla sua esperienza di marinaio, scelse, per nascondersi, un piccolo locale all’estremità della poppa. La nave era diretta a Massaua, durante il viaggio conobbe e familiarizzò con alcuni operai originari di Caltagirone, ai quali, mentendo, disse che era atteso al Comando della Marina.
L’ultimo giorno dell’anno il piroscafo fece scalo al porto di Said, in Egitto. Dopo avere attraversato il Canale di Suez, finalmente, l’11 gennaio del 1938, approdò a Massaua.
Colantonio non aveva documenti con sé, dichiarando di averli smarriti, ma poté scendere grazie alla “benevolenza” di un maresciallo, che volle dargli una mano.
Finalmente a terra, pensò che se fosse andato all’Asmara, dove già lavoravano nell’edilizia parecchi compaesani, avrebbe avuto più possibilità di trovare un impiego, ma non avendo il denaro necessario per pagare un tassista, si rassegnò a percorrere la lunga distanza a piedi, sperando, con un colpo di fortuna, di salire su uno dei tanti camion carichi di merce di ogni tipo.
Durante il tragitto, che compì in preda alla paura, incappò in un posto di blocco; la storiella del marinaio atteso dal comando, si squagliò quasi subito e portato al posto di polizia, dovette ammettere di essere un clandestino, in attesa del rimpatrio.
Trascorse alcuni giorni in camera di sicurezza, fino a quando, sotto stretta sorveglianza, con la prima nave diretta in Italia, non iniziò il mesto viaggio di ritorno. Arrivato a Napoli dopo 11 giorni, al commissariato gli chiesero di scrivere tutta la sua storia e di firmare il verbale. Terminate le operazioni di identificazione, fu trasferito in carcere, dove rimase per una settimana in attesa che dalla Sicilia arrivasse ogni documentazione utile sul suo conto.
Lo rimisero in libertà, dicendogli che era un galantuomo e che se aveva infranto la legge lo aveva fatto soltanto per portare a casa un tozzo di pane.
Andrea Colantonio recuperò i suoi abiti borghesi a casa della suocera del suo amico carabiniere: entrambi gli augurarono buona fortuna ed egli salì sul primo treno per Vittoria, sicuramente deluso ma anche risollevato.
Il lavoro di muratore non gli mancò: i sacrifici e tanta buona volontà lo premiarono, ma non dimenticava mai quella “pazzia giovanile”. Assieme al fratello Salvatore, reduce dalla prigionia in Spagna, aprì e gestì a Vittoria un affermato magazzino di prodotti per l’edilizia.