Conferenza organizzata dal Centro "Pio La Torre"
Studente di Palermo: "Ho rotto con i miei parenti perchè condannati per mafia"
"I miei parenti sono stati condannati per mafia. Non ho paura di dirlo qui, davanti a tutti, perché ho deciso di rompere con la mia famiglia, di invertire la rotta. Tutti devono deviare, tagliare questo filo perverso. Ma lo Stato non investe nella cultura, nella prevenzione, nella partecipazione. Perché?". Questa la testimonianza di uno studente dell'ITC Marco Polo di Palermo, intervenuto stamane alla quinta Conferenza del progetto educativo antimafia 2015-2016, promosso dal Centro Pio La Torre. "Lo Stato se ne frega - ha continuato - non interviene davvero per togliere le radici di questo male. Lo Stato siamo noi, è vero, ma solo fino a un certo punto. Da soli non possiamo combattere nulla, solo le istituzioni possono intervenire per colpire nel cuore la mafia, recidendone le cause sociali e culturali".
Alla conferenza è intervenuto pure il vescovo di Acireale, monsignor Antonino Raspanti ."La mafia è un fenomeno anti-Stato e un'anti-religione. Ha un delirio di onnipotenza che la porta a creare un Dio a propria immagine e somiglianza. Al suo interno ha codici, riti, leggi, lavoro, riconoscimenti, procedure. Serve la grande forza spirituale della Chiesa e di chi crede per combattere una organizzazione così radicata e potente, prendendo da essa le distanze con forza".
Al centro dell'incontro il ruolo che la gerarchia ecclesiastica deve avere nel debellare il fenomeno mafioso. "Dopo una fase di silenzio - continua Raspanti - che non ha giovato per nulla e non ha aiutato il popolo siciliano a maturare nella consapevolezza e a crescere nella democrazia e nella civiltà è arrivata la svolta con il cardinale Pappalardo. Da quel momento in poi è diventata sempre più esplicita, netta, evidente la condanna della mafia e la scomunica per i mafiosi. La presa di posizione della Chiesa ha un peso enorme perché la mafia non è un semplice sistema di delinquenza, è un sistema culturale, familiare". Il vescovo Raspanti nel 2103 ha emanato un decreto pastorale con il quale ha vietato i funerali religiosi ai condannati per mafia che, dopo tre gradi di giudizio, non hanno dimostrato ravvedimento. "I mafiosi che dopo aver commesso una strage ringraziano la Madonna o pregano i santi perché un omicidio è riuscito sono idolatri - ha aggiunto Raspanti - non adorano Dio, vogliono autoconvincersi di questo per darsi forza, coraggio e una struttura identitaria". Nel corso della conferenza anche il complesso rapporto, sollevato dai ragazzi presenti, tra padri e figli mafiosi e la presa di posizione della Conferenza episcopale calabra sulle esequie dei condannati per mafia.