"A noi resta torto di una colpevole ingenuità"
Estorsioni: Fava a Maniaci, le risposte le voglio da lui
"Quando qualcuno gli ha impiccato i cani, ho preso un aereo e sono andato a Partinico per dargli solidarietà, conforto, amicizia. Adesso leggo, come voi, che Pino Maniaci avrebbe usato tutto questo (le amicizie, le solidarietà, gli attestati di stima) per gonfiarsi come un tacchino. Dei cento euro forse pretesi da un sindaco se ne occuperanno i giudici per dirci se fu estorsione, bravata o solo minchioneria. Ma di ciò che ci riferiscono le intercettazioni, la risposta non la voglio dai giudici ma da Maniaci. Non chiacchiere su complotti e vendette mafiose: risposte!". A scriverlo, sul suo profilo Fb, a proposito della vicenda che vede coinvolto il giornalista siciliano antimafia Pino Maniaci, indagato per estorsione, è il vicepresidente della Commissione Antimafia Claudio Fava (SI). "Voglio che dica - a me e agli altri che in questi anni hanno messo la loro faccia accanto alla sua - se quelle trascrizioni sono manipolate o se è vero che all'amica del cuore raccontava '.. mi hanno invitato dall'altra parte del mondo per andare a prendere il premio internazionale del ca.. di eroe dei nostri tempi'. Uno di quei premi del ca... era intitolato a Mario Francese, giornalista palermitano ammazzato dalla mafia. Glielo consegnarono sei anni fa. Ci dica Maniaci che è tutto falso, intercettazioni, verbali, parole sue e degli altri: tutto! Oppure quel premio lo restituisca subito", prosegue Fava. "Tra tutti i miserabili pennacchi che l'antimafia può mettersi sul cappello - osserva - la morte di un giornalista è il più osceno. Quando ai Siciliani ci ammazzarono il direttore non arrivarono scorte della polizia né premi né visite di cortesia né telefonate dei presidenti del consiglio. Ma andammo avanti lo stesso, imparando a fare ogni mese, e per molti anni, un altro buco nella cintura. E quando a Catania un procuratore corrotto fece mettere sotto controllo i nostri telefoni, se ne tornò dai suoi padrini mafiosi con le corna basse: perché nelle telefonate dei giornalisti dei Siciliani c'era solo il rigore delle parole, la limpidezza dei comportamenti". "A noi resta il torto di una nostra colpevole ingenuità: esserci fidati in buona fede dei fumi d'incenso. Che con la lotta alle mafie non c'entrano mai nulla", conclude Fava.