Palermo, si suicidò contro le baronie universitarie: "Colpa dello Stato"
"Italia colpevole, non e' un Paese per giovani e per talenti. Quello di mio figlio e' omicidio di Stato. Come quello di Michele. Mi contestino, mi querelino, ma e' la realta'. Lo Stato uccide i suoi figli migliori, gli chiude le porte, riserva le chiavi ai suoi protetti, assassina la speranza, l'entusiasmo e le competenze. Come hanno fatto con Norman".
Parla Claudio Zarcone, papa' di Norman. Il giovane, con una brillante carriera universitaria, due lauree in filosofia, conseguite con il massimo dei voti e con lode, un dottorato al terzo e ultimo anno e un tesserino da giornalista pubblicista, aveva solo 27 anni il 13 settembre 2010, quando si suicido' lanciandosi dal settimo piano della Facolta' di Lettere dell'ateneo di Palermo.
Un tragico ed esplicito atto d'accusa, si disse allora, contro le baronie universitarie che avevano chiuso ogni accesso. Ci aveva tentato, aveva provato a crederci Norman, animato da un'etica del lavoro, come la chiamava lui stesso, d'estate faceva anche il bagnino. E' diventato l'icona di una generazione di giovani dal futuro incerto, come Michele, trentenne friulano ammazzatosi il 31 gennaio urlando la sua impotenza e la sua disperazione per l'assenza di futuro.
"Fatti come questo - dice Claudio Zarcone - si ripeteranno finche' non si cambiera' impostazione culturale, premiando il fare e il talento. Il Jobs act, i voucher, l'abolizione dell'articolo 18, sono dei grandi inganni, compiuti con la correita' dei sindacati. Ci riempiono le orecchie con termini come innovazione e tecnologia e non sanno ne' vogliono valorizzare i cervelli. C'e' un problema di credibilita' e autorevolezza delle istituzioni. Uno Stato da talk show e reality, utile a distogliere gli occhi con effetti e annunci speciali dai problemi reali; dove non c'e' lavoro e domina una politica arrogante per la quale chi fugge e' un bamboccione, chi si uccide un codardo. Ci propinano la necessita' di uno storytelling per vendere l'immagine del nulla. Ma mio figlio si e' ucciso, questi ragazzi si uccidono: e non perche' non hanno un lavoro, ma perche' e' morta in loro la speranza di averlo, ricacciati continuamente in una permanente condizione di oscurita'. Io questo Stato lo condanno per omicidio e furto di credibililita', di futuro e di talenti, con l'aggravante di una costante delegittimazione dei cervelli". Per Claudio Zarone "non e' psicopatologia" quella che rivelano questi atti estremi, ma l'effetto tragico di "un inganno collettivo. Serve una nuova prospettiva culturale, produttiva, che faccia leva sulle garanzie, sulle tutele, sulla trasparenza, sull'investimento umano. I ragazzi non ce la fanno piu', stritolati da frustrazione e delegittimazione". Sulla pagina Facebook 'Una fondazione per Norman', Claudio, filosofo e musicista come il figlio, chitarra alla mano, canta la sua dolorosa rabbia: "Ho sputato in faccia ai potenti, ai loro sudditi idioti, ai pensatori polverosi, ai capiscuola illetterati, ai loro lacche' in livrea...".