Nino Di Matteo lascerà Palermo: andrà alla Superprocura
A Palermo è legato a doppio filo: perché lì è nato e perché da 18 anni da quella procura conduce inchieste delicate, come quella sfociata nel processo sulla presunta trattativa tra lo Stato e la mafia. Ora però il pm Nino Di Matteo,da tempo al centro delle "attenzioni" di Cosa Nostra, si prepara a fare le valigie. Per approdare a Roma, alla Procura nazionale antimafia e antiterrorismo. Dal Csm è arrivato infatti un primo via libera al suo trasferimento alla Superprocura guidata da Franco Roberti per uno dei cinque posti di sostituto liberi in quell'ufficio. Un sogno inseguito da tempo dal pm, che due anni fa si era visto invece bocciare a sorpresa la sua candidatura da Palazzo dei marescialli, a vantaggio di altri tre colleghi. Ora quella ferita, vissuta da Di Matteo come "un'ingiusta mortificazione" di cui aveva chiesto giustizia con un ricorso al Tar del Lazio, si rimargina. L'unanimità che c'è stata in Terza Commissione sul suo nome (così come su quelli dei sostituti romani Francesco Polino, Barbara Sargenti e Maria Cristina Palaia e del pm napoletano Michele Del Prete) fa ritenere pacifico l'ultimo via libera da parte del plenum del Csm, in calendario non prima di metà marzo. Si tratta di un risarcimento pieno, considerato che tra i concorrenti c'erano candidati di spessore, come i pm del processo Mafia capitale Giuseppe Cascini e Luca Tescaroli, l'ex assessore alla Legalita' del Comune di Roma ora sostituto a Napoli Alfonso Sabella, il pm romano e segretario dell'Anm Francesco Minisci e il procuratore aggiunto di Palermo Teresa Principato. E visto che la Commissione, nel compiere la sua scelta "non semplice", ha anche "tenuto conto delle indicazioni del procuratore Roberti", come spiega la presidente Elisabetta Casellati (Forza Italia). La decisione della Commissione arriva dopo che quattro mesi fa Di Matteo aveva rifiutato l'offerta del Csm di un trasferimento per ragioni di sicurezza, motivata da un'intercettazione che aveva fatto salire l'allarme per la sua incolumità. "Lo devono ammazzare" la frase inequivocabile di un mafioso, che invitava la moglie per questa ragione a non andare allo stesso circolo sportivo frequentato da Di Matteo. Le ragioni del grande rifiuto le aveva spiegate direttamente il magistrato in un faccia a faccia con i componenti del Csm: "accettare un trasferimento con una procedura straordinaria connessa solo a ragioni di sicurezza costituirebbe un segnale di resa personale ed istituzionale che non intendo dare". L'allarme sicurezza per il magistrato è alto da anni. Nel 2014 Toto' Riina , intercettato in carcere, disse di volere per lui "la fine del tonno". Un rancore covato da tempo nei confronti del magistrato, che è stato titolare dell' inchiesta sull'omicidio di Antonino Saetta, costata al boss di Corleone la prima condanna all'ergastolo. Più recenti le dichiarazioni del pentito Vito Galatolo sull'acquisto di un carico di tritolo da usare per un attentato a Di Matteo.