Catania, Moas collabora: presi due trafficanti di essere umani
Due libici, presunti scafisti, arrivati a Catania il 6 maggio scorso con nave Phoenix, assieme a 394 migranti, sono stati fermati da Polizia di Stato e Guardia di finanza perché ritenuti appartenenti a un organizzazione di trafficanti di esseri umani. A uno dei due è contestato anche il concorso nell'assassinio di un 21enne migrante della Sierra Leone, ucciso con colpo di arma da fuoco perché si era rifiutato di dargli il cappellino. Il cadavere era stato recuperato da nave Phoenix.
L'indagato non è l'esecutore del delitto. Sono indagati dalla Procura distrettuale per per associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Uno anche per concorso in omicidio. Il fermo, disposto dalla Procura, fa seguito a indagini del pool di investigatori della Squadra Mobile di Catania e del Nucleo di Polizia tributaria della Guardia di finanza, con la collaborazione della Sezione operativa navale.
"E' la prima volta che Moas ci fornisce i filmati di un salvataggio, filmato utilissimo per le indagini perchè ci ha permesso, assieme alle testimonianze dei migranti salvati, di identificare i due trafficanti, arrestarli e contestare loro l'associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e a uno il concorso morale dell'omicidio del giovane della Siera Leone colpito per non avere dato il cappellino da baseball". Lo dice il procuratore di Catania Carmelo Zuccaro in conferenza stampa illustrando i particolari dell'operazione che hanno portato al fermo, convalidato dal Gip di Catania, di due trafficanti libici, uno dei quali coinvolto nell'omicidio del 21enne che sarebbe stato ucciso da un trafficante perchè non gli avrebbe consegnato il cappellino da baseball. Il Moas è una delle Ong più attive nel soccorso di migranti. Zuccaro ha pure affermato che serve "la presenza di unità operative della Guardia di finanza e della Guardia costiera nelle acque internazionali è auspicabile per potere intervenire immediatamente quando avvengono i salvataggi". Per il magistrato che con le sue dichiarazioni ha sollevato il caso Ong, "è probabile che se ci fosse stata una unità militare operativa in mare, avremmo potuto arrestare tutti i trafficanti, compreso il libico che ha sparato e che è poi tornato indietro nella sua terra".