Stato-mafia, pm di Palermo: "Riina "venduto" da Provenzano"
"La trattativa era attesa, voluta e desiderata da Cosa nostra. E in quel periodo c'era un comprimario occulto, una intelligenza esterna che confidava e premeva per la linea della distensione. Che diede dei segnali in tal senso, mentre cosa nostra continuava a cercare il dialogo a suon di bombe, con i morti per terra a Milano e Firenze, e sfreggiando monumenti". Lo ha detto il pm Vittorio Teresi, proseguendo la requisitoria nel processo sulla trattativa tra Stato e mafia. L'accusa - nell'udienza numero 208 - esplicita ancora: "Se si fosse attuata la linea della fermezza e della durezza non ci sarebbe stato spazio per gli stragisti e i consiglieri del dialogo sarebbero stati individuati e assicurati alla giustizia e la strategia della paura debellata. E invece - prosegue - ci furono molteplici segnali volti a favorire la trattativa: il decreto del ministro Conso, la revoca e gli annullamenti del 41 bis disposti da Capriotti (direttore del Dap). Ma ci furono anche prima partendo dalla mancata perquisizione del covo di Riina, in via Bernini".
Il pm di Palermo - rivolgendosi alla Corte di assise - ribadisce: "Cedendo al ricatto, lo Stato si e' messo nelle mani della mafia".
Poi Teresi ha anche detto: "L'arresto di Riina fu frutto di un compromesso vergognoso che certamente era noto ad alcuni ufficiali del Ros come Mori e de Donno, fu frutto di un progetto tenuto nascosto a quegli esponenti delle istituzioni e quei magistrati che credevano invece nella fermezza dell'azione dello Stato contro Cosa nostra". La cattura del boss corleonese Totò Riina come snodo della seconda fase della trattativa tra parte delle istituzioni e la mafia è al centro dell'udienza del processo sulla trattativa Stato-mafia, dedicata alla prosecuzione della requisitoria. A ripercorrere l'arresto del padrino, finito in manette nel 1993, è il pm Vittorio Teresi certo che Riina venne "consegnato" ai carabinieri dall'ala di Cosa nostra vicina a Bernardo Provenzano. Riina, con cui i militari del Ros imputati al processo avevano intavolato un dialogo finalizzato a far cessare le stragi, era ritenuto un "interlocutore" troppo intransigente. Perciò gli si sarebbe preferito Provenzano.