Corruzione, un ex pm di Siracusa per 4 anni al servizio del "mondo di Amara"
Troppi soldi e tanta spregiudicatezza. A Siracusa e provincia lo sapevano tutti, ma il coperchio non era mai stato sollevato. Tangenti, corruzione, manipolazioni di sentenze. Un'associazione per delinquere culminata con due inchieste parallele: una della Procura di Roma, l'altra di Messina. Quindici gli arresti eccellenti che coinvolgono un ex magistrato fino a poco tempo fa, Pm a Siracusa, avvocati, imprenditori, faccendieri ed anche un giornalista. Secondo le accuse del gip che ha firmato le ordinanze, gli indagati erano protagonisti di due associazioni a delinquere dedite alla frode fiscale, reati contro la Pubblica amministrazione e corruzione in atti giudiziari. In carcere sono finiti Giancarlo Longo, ex pm della Procura di Siracusa, l’avvocato di Augusta, Piero Amara (legale di Eni) e gli imprenditori Fabrizio Centofanti e Enzo Bigotti, e il docente dell'Università Sapienza di Roma, Vincenzo Naso. I nomi di Amara e Bigotti erano emersi negli atti dell’inchiesta sul caso Consip. Quello di Centofanti, invece, era legato all’inchiesta su Maurizio Venafro, l’ex capo di gabinetto del governatore Nicola Zingaretti, poi assolto in uno dei vari stralci del processo Mafia Capitale. Nell’inchiesta risulta indagato anche l’ex presidente di sezione del Consiglio di Stato, Riccardo Virgilio (oggi in pensione). Nei suoi confronti si contesta il reato di corruzione in atti giudiziari in concorso con l’avvocato Piero Amara e dell'avvocato di origini floridiane, Giuseppe Calafiore. Nei confronti di Virgilio era stata chiesta una misura “non detentiva” ma è stata respinta dal gip per assenza di ragioni cautelari. “Le indagini hanno preso le mosse da distinti input investigativi, convergendo sull’operatività dei due sodalizi criminali, (individuati dagli inquirenti come “mondo Centofanti” e “mondo Amara“, ) consentendo altresì la ricostruzione di ipotesi di bancarotta fraudolenta da parte di soggetti non riconducibili alla struttura delle organizzazioni”, ricostruiscono gli inquirenti. Nelle carte dell’inchiesta i pm tratteggiano il ruolo del giudice Longo, il quale “in qualità di pubblico ufficiale svendeva la propria funzione” e “ha dimostrato di possedere una personalità incline al delitto, perpetrato attraverso la strumentalizzazione non solo della funzione ricoperta, ma anche dei rapporti personali e professionali”. In particolare, nella sua veste di pubblico ministero a Siracusa – prima di essere trasferito su sua richiesta al Tribunale civile di Napoli – Longo avrebbe messo a disposizione la sua funzione giudiziale per aiutare i clienti di Amara e Calafiore, dai quali avrebbe intascato 88mila euro, vacanze offerte con la famiglia a Dubai e un capodanno al Grand Hotel Vanvitelli di Caserta. In cambio dei quali si era messo a loro servizio “a partire dal 2013 e sino ai primi mesi del 2017“. Una “mercificazione della funzione giudiziaria” nell’ambito della quale Longo avrebbe aperto procedimenti giudiziari fittizi allo scopo di venire a conoscenza del contenuto di indagini di altri colleghi e di tentare di inquinare importanti inchieste. Tra queste l’indagine aperta presso la Procura di Milano in cui figurava tra gli indagati l’ad di Eni Claudio Descalzi, rinviato a giudizio per una tangente da 1,3 miliardi per lo sfruttamento di un giacimento petrolifero in Nigeria. I metodi usati da Longo erano tre: creazione di fascicoli “specchio”, che il magistrato “si auto-assegnava – spiegano i pm che hanno condotto l’inchiesta – al solo scopo di monitorare ulteriori fascicoli di indagine assegnati ad altri colleghi (e di potenziale interesse per alcuni clienti rilevanti degli avvocati Calafiore e Amara), legittimando così la richiesta di copia di atti altrui, o di riunione di procedimenti; fascicoli “minaccia”, in cui “finivano per essere iscritti – con chiara finalità concussiva – soggetti ‘ostili’ agli interessi di alcuni clienti di Calafiore; e fascicoli “sponda”, che venivano tenuti in vita “al solo scopo di creare una mera legittimazione formale al conferimento di incarichi consulenziali (spesso, radicalmente inconducenti rispetto a quello che dovrebbe essere l’oggetto dell’indagine), il cui reale scopo era servire gli interessi dei clienti di Calafiore a Amara”. “La gravità delle condotte da lui poste in essere in qualità di pubblico ufficiale che – prosegue l’ordinanza riguardo a Longo – concorreva alla redazione di atti pubblici ideologicamente falsi, si faceva corruttore di altri pubblici ufficiali, con piena accettazione da parte degli stessi, che venivano per giunta da lui remunerati con soldi pubblici, intratteneva una rete di rapporti dall’origine oscura e privi di apparente ragion di essere oltre che, in certi casi, contraria ai più elementari principi di opportunità, depone nel senso della assoluta insufficienza a contenere il pericolo di reiterazioni criminosa attraverso misure diverse e meno afflittive della custodia cautelare in carcere”. L’inchiesta coinvolge anche un noto giornalista siracusano, Pino Guastella, finito ai domiciliari. Secondo l’accusa, in cambio di soldi, ricevuti da Amara, che è anche legale esterno dell’Eni, Guastella avrebbe divulgato sul “Diario” “reiterate affermazioni di natura diffamatoria in danno dei magistrati Marco Bisogni e Tommaso Pagano, incaricati di valutare i fascicoli iscritti nei confronti di clienti degli avvocati Amara e Calafiore”, scrive, nel capo d’imputazione, la Procura di Messina che ha condotto l’indagine. L’inchiesta è nata da una denuncia firmata da otto pubblici ministeri di Siracusa, colleghi di Longo. Un esposto del 24 settembre del 2016 denunciava il sospetto di rapporti illeciti tra l’ex pm, nel frattempo trasferito al tribunale civile di Napoli, e Calafiore e Amara. Rapporti, che, scrivevano i magistrati, sarebbero stati una sorta di “prosecuzione sottotraccia” delle relazioni illegali che un altro pm siracusano aveva con i due difensori. Si tratta di Maurizio Musco, che è stato condannato con sentenza definitiva per abuso d’ufficio insieme all’allora capo della Procura Ugo Rossi. La società di consulenza di Amara e Calafiore, ha rapporti economici, tra l’altro, con gli imprenditori siracusani del “gruppo Frontino”, che sarebbero, secondo l’accusa, tra i soggetti avvantaggiati da Longo.
IL PM ARRESTATO TROVO' LE MICROSPIE NEL SUO UFFICIO
Giancarlo Longo, ex pm di Siracusa arrestato oggi, tra l'altro per associazione a a delinquere e corruzione, aveva il sospetto che stessero indagando su di lui. Per questo commissionò a un privato che lavorava con la Procura di effettuare una bonifica all'interno del suo ufficio per verificare l'eventuale presenza di microspie. Con il tecnico si giustificò dicendo che ad indurlo in allarme era stata la "visita" dei finanzieri inviati dalla Procura di Messina che, in effetti, stavano indagando sul collega. La bonifica non diede frutti, ma Longo, qualche giorno dopo, trovò le "cimici" da solo. Una telecamera piazzata nella stanza lo immortala mentre sale sulla scrivania per perlustrare l'ufficio. Per accertare chi gli avesse dato la 'dritta', gli inquirenti decisero di sequestrargli il cellulare e andarono in Procura, ma l'ex pm non c'era. Ad avvertirlo fu un collega, anche lui già indagato e condannato per vicende analoghe, Maurizio Musco. A quel punto, Longo si precipitò in ufficio e dichiarò: "Non ho al seguito il cellulare contraddistinto in quanto, lo stesso, si è rotto. Preciso, altresì, che tale apparato telefonico si trova presso la mia abitazione di Mascalucia". Ma chiaramente a casa dell'ex pm del telefonino non c'era traccia. Longo l'aveva fatto sparire.
Longo, inoltre, era stato sanzionato nei mesi scorsi dal Csm a seguito di un procedimento disciplinare e poi trasferito il 26 luglio da Siracusa, dove era pm, al tribunale civile di Napoli come giudice. Il trasferimento in prevenzione è avvenuto su sua domanda.