Palermo, processo al boss della tratta, il teste: "È mio fratello"
"Mi chiamo Iuwet Tesmafarian e riconosco l'imputato, e' mio fratello". Esordisce cosi' il teste parlando davanti alla Corte di assise, presieduta da Alfredo Montalto. E' il processo nei confronti di Mered Medhanie Yedhego - detto il "generale": per l'accusa l'imputato arrestato in Sudan nel maggio 2016 ed estradato in Italia il successivo 7 giugno e' un trafficante di esseri umani, capo di una organizzazione criminale transazionale. Mentre per la difesa - che fin dall'inizio ha parlato di un clamoroso errore di persona e ora anche di accanimento giudiziario - dietro le sbarre c'e' un profugo eritreo, falegname, di nome Medhanie Tesfamariam Behre. L'imputato - presente in aula - e' detenuto a Palermo da giugno 2016. "Io vivevo in Etiopia, nel 1999 sono rientrata in Eritrea e abbiamo anche vissuto assieme. Siamo 7 fratelli - ha proseguito - con lui abbiamo in comune il padre, la madre e' diversa". Iuwet ha spiegato che nel 2009 e' andata via dall'Eritrea, destinazione Sudan e nel 2011 ha raggiunto la Norvegia dove vive tuttora. Iuwet Tesmafiarian ha detto di avere parlato al telefono - tre o quattro volte - Lydia Tesfu, una donna che vive in Svezia, che ha dichiarato di avere avuto un figlio dal Mered Medhanie Yedhego: "Lei mi ha detto che quel bambino non era figlio di Tesmafarian. Ho chiesto - ha aggiunto rispondendo all'avvocato Calantropo - di fare l'esame del Dna al bambino ma Lydia Tesfu mi disse di avere parlato con poliziotti italiani che non gli hanno mai chiesto di fare questo tipo di esame". Il pm Calogero Ferrara ha chiesto di sapere chi fossero queste persone - "anche per valutare se siano stati commessi reati" - ma la teste ha ribadito: "la signora Tesfu mi ha detto che venivano dall'Italia". L'imputato sara' sentito in udienza il 21 maggio.