Trapani, confiscati beni per 21 milioni a due imprenditori vicini a Messina Denaro
Continua a sgretolarsi la 'rete' attorno al boss mafioso Matteo Messina Denaro, al primo posto nella lista dei superlatitanti più ricercati d'Italia, messa a dura prova dalla magistratura e dalle indagini sull'immenso patrimonio accumulato dal clan del padrino di Castelvetrano (Tp) grazie a imprenditori collusi, prestanome, fiancheggiatori e politici compiacenti. Un impero economico-finanziario che vacilla sotto i colpi delle inchieste e dei provvedimenti giudiziari; l'ultimo è quello della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Trapani, eseguito da polizia e guardia di finanza che hanno confiscato beni per 21 milioni di euro agli imprenditori Francesco e Vincenzo Morici. Un lavoro certosino quello degli inquirenti che ha portato all'esecuzione del provvedimento: i sigilli sono scattati per 52 appartamenti, 9 villini, 11 magazzini, 8 terreni, 19 garage, autovetture, conti correnti e società. Per gli investigatori i due imprenditori, attivi nell'edilizia, hanno operato nel settore dei lavori appaltati da enti pubblici in Sicilia proprio per conto di Messina Denaro. Il provvedimento di confisca è stato emesso a conclusione di analisi condotte dai poliziotti della divisione anticrimine svolte assieme al nucleo di polizia economico-finanziaria delle Fiamme gialle. Secondo le indagini, i Morici avrebbero fatto parte di un gruppo di imprenditori che "Cosa nostra" ha utilizzato, su mandato del superlatitante, per esercitare il condizionamento nelle fasi di aggiudicazione di appalti, nell'esecuzione delle opere e nelle forniture. In particolare, il vertice mafioso, gestiva tramite gli imprenditori, i meccanismi di controllo illecito sull'aggiudicazione dei lavori pubblici e sulla esecuzione dei lavori, prevedendo che l'impresa aggiudicataria versasse una percentuale ai funzionari pubblici corrotti e alla famiglia mafiosa di Trapani. Nel procedimento a carico dei Morici, i magistrati hanno fatto confluire le carte dell'inchiesta che ha coinvolto l'ex sottosegretario all'Interno Antonio D'Alì (imputato di concorso esterno in associazione mafiosa), ritenendo il gruppo imprenditoriale inserito in un quadro di accordi tra mafia, politica e imprese. Nei confronti di Francesco e Vincenzo Morici, padre e figlio, era stata proposta la sorveglianza speciale: il Tribunale però ha rigettato la richiesta per Vincenzo Morici non ritenendolo soggetto pericoloso, mentre quella per il padre, Francesco, non è stata comminata per la sopravvenuta morte dell'uomo.