Pachino, Iacono si difende e resta in cella:"Mai raccolto scommesse"
Resta in carcere l'ex consigliere comunale di Pachino, Nino Iacono, ufficialmente imprenditore, ma di fatto dipendente comunale nella città dove risiede. Iacono insieme ad altri 3 siracusani è finito in carcere nell'ambito dell'operazione sulle scommesse illecite, che ha portato in carcere 68 persone e coordinata dalla Direzione nazionale Antimafia. Il gip del Tribunale di Siracusa, Andrea Migneco, ha convalidato il fermo di Iacono. Stessa decisione il giudice l'ha presa per Giovanni Conte, di Siracusa, Salvatore Baretta di Lentini e Gaetano Liottasio. Quest'ultimo ha deciso di avvalersi della facoltà di non rispondere. Gli atti sono stati trasmessi al Gip del tribunale di Catania che entro . 20 giorni dovrà decidere se riformare o mantenere la decisione del giudice Migneco.
I quattro siracusani che si trovano rinchiusi nel carcere di Cavadonna, sono accusati di associazione a delinquere finalizzata alla truffa, al gioco illecito on line, al riciclaggio e all’autoriciclaggio con l’aggravante della mafia per avere agevolato il clan mafioso Cappello e la cosca mafiosa Santapola-Ercolano.
Iacono, ritenuto un referente del clan Cappello di Catania, ha negato l’accusa, così come ha negato di avere raccolto scommesse per conto dell’organizzazione criminale avversaria della cosca mafiosa Santapaola-Ercolano.
Principale fonte dell’accusa è l'imprenditore siracusano, Fabio Lanzafame, che nel mese di giugno scorso ha deciso di presentarsi ai magistrati della Procura distrettuale antimafia di Catania ai quali ha comunicato di voler collaborare con la giustizia. Le sue dichiarazioni hanno consentito di accertare senza ombra di dubbio il coinvolgimento della mafia siciliana, della Sacra Corona Unita della Puglia e della ‘Ndrangheta calabrese nelle scommesse illegali cui Fabio Lanzafame aveva spiegato il meccanismo della raccolta delle scommesse sulle manifestazioni sportive.
Il siracusano Giovanni Conte, in presenza del proprio difensore di fiducia, avvocato Giorgio D’Angelo si è protestato innocente sostenendo di non essere mai stato il braccio destro del collaboratore di giustizia Fabio Lanzafame. “Ci conoscevamo per motivi di lavoro, che per quanto mi riguarda erano assolutamente leciti. Se poi lui aveva una doppia personalità, io non me ne sono mai accorto ed in ogni caso io ho sempre operato nel rispetto delle leggi. Lanzafame guadagnava un sacco di soldi, io al contrario incassavo delle cifre nettamente inferiori rispetto a quelle che incassava lui. Ripeto io non c’entro nulla con la mafia, con organizzazioni criminali, con mafiosi di Catania e di Palermo. Io, signor Giudice, non ho fatto assolutamente nulla e inorridisco di fronte alle pesantissime accuse che mi vengono contestate”. Dello stesso tenore anche le dichiarazioni del pachinese Nino Iacono, che peraltro è stato in passato pure consigliere provinciale e alle ultime amministrative candidato sindaco, sconfitto alle urne dall’attuale primo cittadino di Pachino, Roberto Bruno.