Studentessa fuori sede di Siracusa scrive a Musumeci, "Noi figli di un Dio minore"
Riceviamo e pubblichiamo la lettera di una studentessa di 23 anni, di Siracusa che studia a Bologna, che rivolge, un appello al governatore della Sicilia che di fatto con la nuova ordinanza, blocca il rientro nell'isola dei residenti. Ecco il testo integrale della denuncia-appello.
Secondo l’Ordinanza contingibile e urgente n. 18 del 30 aprile 2020 del Presidente della Regione Sicilia, «le limitazioni di ingresso e di uscita dal territorio della regione siciliana restano invariate e sono disciplinate dal decreto n. 183 del 29 aprile 2020 del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministro della salute». Il che si traduce dunque nell’impossibilità di poter tornare al proprio domicilio o alla propria residenza in Sicilia, in barba a quel «è in ogni caso consentito il rientro presso la propria residenza o domicilio» annunciato da Conte a reti unificate rispetto alle novità previste dal decreto del 4 maggio. Non potevamo aspettarci altrimenti. D’altronde, governatore Musumeci, noi al menefreghismo della nostra regione per i propri conterranei ci siamo abituati. A Lei i miei più sentiti complimenti, un plauso alla riuscita dell'apologia dell’ideale del pugno di ferro che se ne stra-frega delle ripercussioni e saluta chi ne è vittima mettendo la testa sotto la sabbia. D’altronde rispetto a questa linea i governatori delle regioni del Sud stanno davvero dando il meglio di sé. Lei dunque blinda la nostra isola non a turisti, non a spostamenti superflui. Ma a chi, in quell’isola, ha la propria residenza e il proprio domicilio. Lei, con le sue disposizioni, mi vieta dunque, dopo mesi e mesi, di rientrare a casa mia. E no, non tiriamo fuori l’argomento del «beh ma vi è piaciuto scappare per andare a lavorare e studiare al Nord, avete voluto la bicicletta e adesso pedalate». No, noi non pedaliamo proprio un bel niente. Perché ricordo che le stesse condizioni per cui i figli del Sud vanno a lavorare o studiare al Nord dando adito a quella cosiddetta — e che vi piace tanto definire “codarda” — fuga dei cervelli, sono le stesse poste da una malgestione regionale dalle radici decennali: una premessa in realtà abbondantemente estendibile a tutte le regioni del meridione, ma questo è sicuramente un altro discorso. Non siamo noi ad aver maledetto la nostra terra. Noi non partiamo per scelta. Noi partiamo per necessità. Perché le stesse risorse che cerchiamo al Nord sono le stesse di cui siamo stati privati al Sud, signor governatore. E non per nostra scelta. Smettiamola di chiamare “scelta” quella di partire. Perché al mio paese una condizione che non offre più di un’alternativa non si chiama scelta. Si chiama obbligo. L’equazione è semplice: restare e cercare di non morire di fame, giocarsela con meno della metà delle opportunità o sperare nel beneplacito della raccomandazione di turno (suvvia, non prendiamoci in giro, vogliamo ancora credere alla fiaba del debellamento del clientelismo? Qualcuno se la sente ancora di credere alla storiella del principe della meritocrazia in groppa al cavallo bianco della giustizia? ) oppure partire. Partire e sperare di avere qualche possibilità in più. E magari averla per merito, per capacità. Smettiamola di prenderci in giro e siamo sinceri, per una buona volta, che la retorica sulla riqualificazione della Sicilia che da anni impera nei nostri scenari d’informazione ha veramente stancato. E ha stancato perché quasi mai accompagnata da un riscontro effettivo. «State a casa, non vi muovete, nessun esodo dal Nord al Sud se volete bene alla vostra regione». E l’abbiamo fatto. Abbiamo evitato di imbarcarci sul primo treno o sull’ultimo aereo. E l’abbiamo fatto con senso di responsabilità, con senso civico e sì, anche con spirito di sacrificio. Perché l’idea del focolaio domestico, della quarantena in stile “Happy Family” nel bel mezzo di una dichiarata pandemia le assicuro che costituiva un pensiero decisamente più allettante. Specialmente per chi, per stare qui al Nord, si fa il mazzo ventiquattro ore su ventiquattro per pagare l’affitto di camere o locali fatiscenti: per chi lavora, per chi è mantenuto da genitori che sputano letteralmente il sangue per offrirci l’opportunità di un futuro migliore. Sì, “futuro migliore”, quel futuro migliore che in Sicilia non c’è, signor governatore, ma questo lei lo sa benissimo. E se finge di non saperlo, appunto finge. Fa finta. E non c’è cosa peggiore del dissimulare nella consapevolezza. E questo non solo fa di lei una persona irrispettosa delle nostre esigenze. La fa una persona insensibile, un menefreghista. Perché sì signor governatore, c’è gente che la quarantena se l’è fatta con altri 4 coinquilini in un appartamento di 40 metri quadri, magari. C’è gente che l’affitto che già prima costituiva una mazzata ogni fine mese non lo può più pagare, vittima del più generale salasso economico che sta inginocchiando il nostro Paese. C’è chi prima lavorava e non lavora più. Ci sono genitori che non ricevono lo stipendio da mesi. Il premio della Regione Sicilia ai fuori sede in difficoltà? Buffo che per ottenerlo sia necessario avere un ISEE di 23.000 euro. Buffo che l’ISEE si riferisca a circostanze temporali in cui gli stipendi venivano ancora erogati e la gente non faceva impazzire il portale INPS per ricevere seicento euro per andare a far la spesa. Ma tralasciando tutto ciò, governatore, quello di rientrare a casa mia accettando l’ipotesi — difficile, dopo ben due mesi di lockdown — di autodenunciarmi e fare la quarantena obbligatoria (magari aspettando anche più di 14 giorni per poter mettere il naso fuori di casa, perché già che ci siamo denunciamo un’altra difficoltà: udite udite, ci sono persone che pur avendo effettuato la quarantena sono state costrette a sottostare a tempi d’attesa lunghissimi per poter ricevere il fantomatico binomio “tampone + esito negativo” necessario per uscire) è un mio diritto. E perciò diciamolo chiaro e tondo, signor Musumeci, e anche a gran voce, senza vergognarcene: la sua politica di chiusura dei confini regionali è solo l’ennesimo sputo in faccia. È l'ennesima dimostrazione di totale noncuranza nei confronti delle condizioni cui noi ragazzi e le nostre famiglie siamo attualmente sottoposti. È solo l’ennesima dimostrazione del fatto che nella vita conviene fare i furbi: che anche noi, come tutti, avremmo dovuto partecipare al famosissimo esodo. Forse ora ci eviteremmo la fatica di dover partecipare a questa cosa atroce che è la ressa per un biglietto aereo o ferroviario. La ressa per titoli di viaggio che non hanno mai prezzi con meno di tre cifre — ma d’altronde quella dei prezzi esorbitanti dei biglietti non è una piaga nuova, noi figli del Sud la conosciamo bene, e sono anni che reclamiamo un cambiamento, l’ennesimo che stiamo ancora aspettando. Titoli di viaggio il cui numero sarà esiguo, il che, come al solito, premierà e lascerà tornare chi prima potrà mettere mano al portafoglio. E che debba essere io, a 23 anni e venuta dal nulla, a spiegarle che le sue decisioni hanno sì delle ripercussioni, ma ripercussioni che varieranno sulla base dello status di ciascuno — ripercussioni DI CLASSE, e aspetto con ansia chi soffermandosi su queste due parole mi identificherà come una nostalgica della falce e del martello ancor prima di aver provato a comprendere che le mie rivendicazioni non hanno colore politico — lo trovo davvero imbarazzante. Ripercussioni di classe che a molti consentiranno il ritorno non prima di giugno. O forse luglio. O forse sarebbe bene auspicare che la regione ci dia dei sussidi per poter impiantare delle bellissime piscine gonfiabili due metri per due sui nostri balconi, sulle nostre terrazze, e rassegnarci all’idea di marcire qui privi di qualunque tutela di sorta. Perché se l’accordo che dobbiamo trovare per tornare si riassume nell’ennesima equazione “trovare un titolo di viaggio + trovare in accordo il presidente della regione in uscita + trovare in accordo il presidente della regione in entrata” allora capisce che la nostra probabilità di riuscire ad organizzarci (e a tornare) prima di agosto è la stessa che aveva l’Italia nel 2018 di vincere il mondiale senza qualificazione. Ridicolo. Semplicemente ridicolo, e aggiungerei frustrante. Grazie per non aver interrogato le condizioni di noi conterranei fuori-sede. Però nell’attesa i nostri genitori, i nostri “congiunti” e “affetti stabili” — gli stessi che magari stanno aspettando la cassa integrazione per mantenerci — potranno giocare a tennis per ingannare il tempo. Sono certa questa gentilissima concessione basterà loro per deglutire il boccone amaro dell’ignobile gestione di questa vicenda.
Sara Campisi