Natale della pandemia? Affetti dimezzati e parcellizzati
Che Natale è questo della pandemia? Quando fa male sapere che, mentre Qualcuno nasce in una grotta con accanto la Madre, c’è chi, in una stanza di ospedale, sta morendo senza avere accanto un figlio, una moglie, un marito che gli tenga la mano e lo accompagni verso il viaggio eterno. Che Natale è questo della pandemia? Se sopravvive, malgrado tutto, la corsa ai regali dell’ultimo minuto e all’acquisto delle specialità gastronomiche. E quella corsa che sembra voler esorcizzare la paura di un contagio: bisogna stare fuori il meno possibile, evitare assembramenti, fare presto a smaltire la fila al supermercato. E, poco distante, c’è un’altra fila: è quella di tante persone, troppe, che aspettano il loro turno alla mensa della Caritas: non hanno fretta, a casa non li aspetta nessuno. Per loro, il segno della festa è tutto nei gesti dei volontari che consegnano una pietanza calda e un dolce. Che Natale è questo della pandemia? Quando i bar e i ristoranti sono chiusi, i giovani camerieri sono rimasti senza occupazione, e i loro datori di lavoro aspettano un contributo dello Stato per pagare le spese di affitto del locale o le bollette della luce. Che Natale è questo della pandemia? Quando il pranzo in famiglia del 25 dicembre deve essere vietato a chi è “di troppo” per evitare che si superi il numero stabilito dall’ultimo decreto del Governo che cerca di tutelare la salute pubblica e non può tener conto del calore dei sentimenti. E si resta con l’amara sensazione di affetti dimezzati e parcellizzati. Che Natale è questo della pandemia? Se dobbiamo contare i chilometri che ci separano da un familiare o da un amico che non abita nella nostra stessa città. Che Natale è se, andando a fare la spesa, dobbiamo avere con noi l’autocertificazione, come se fossimo tornati indietro nel tempo, quando era necessaria la “tessera del pane” per sfamare i sopravvissuti della seconda guerra mondiale. Che Natale è questo della pandemia? Se noi siciliani non possiamo abbracciarci e stringere mani nel giorno della Natività e ci dobbiamo accontentare dei messaggi sui telefonini o delle videochiamate. E’ quello che sono costretti a fare coloro che sono rimasti bloccati nelle sedi universitarie e all’estero perchè non sono riusciti a trovare un posto in treno o in aereo per tornare in Italia. Che Natale è questo della pandemia? Se non riusciamo a resistere alla tentazione delle polemiche di natura politica. Se pensiamo solo al nostro piccolo ed egoistico tornaconto senza volare alto nel cielo della solidarietà. Qualcuno ha detto che la mascherina che indossiamo tutti, oltre a proteggerci dal virus, ha un vantaggio: ci ha insegnato a parlare con gli occhi, a guardarci negli occhi. Per indagare anche nella nostra anima. Che Natale è questo della pandemia? Se non guardiamo con occhi di speranza i nostri familiari, i nostri amici, i nostri vicini di casa, le nostre città fatte di pietre che si illuminano anche al calar del sole e che aspettano di riempirsi ancora di gente che si stringe le mani, si abbraccia, fa festa. Senza bisogno di guardarsi solo negli occhi.
Concetto Iozzia