Modica, l'assessore Samonà: le due tele ritrovate saranno restaurate dalla Regione
Le due tele del Settecento del pittore modicano Giovan Battista Ragazzi, scomparse dalla Basilica Santuario della Madonna delle Grazie di Modica e ritrovate grazie all'intervento determinante della professoressa Maria Terranova, saranno restaurate dalla Regione Siciliana.
Lo annuncia l'assessore dei Beni culturali e dell'Identità siciliana, Alberto Samonà, che ha appreso con soddisfazione la notizia del ritrovamento delle due tele avvenuto grazie alla perizia e all'ostinazione dell'insegnante modicana, grazie alla cui collaborazione i Carabinieri di Modica, sono riusciti a recuperare i dipinti.
“La vicenda di cui si è resa protagonista la professoressa Terranova – sottolinea l'assessore Samonà – è encomiabile. L'alto valore simbolico del suo comportamento e la perizia con cui si è fatta custode del nostro patrimonio non sono sfuggiti alla mia attenzione e al Governo regionale, tanto da indurmi - come propostomi dal Soprintendente dei Beni Culturali di Ragusa, Antonino De Marco - ad assegnare a Maria Terranova l'alta onorificenza di Ispettore onorario dei beni culturali, che formalizzerò nelle prossime ore. Inoltre, proprio per la storia del ritrovamento che denota passione e senso di responsabilità da parte di tutta la comunità, ho già dato disposizioni al Soprintendente di Ragusa di avviare le procedure per porre a carico dell’assessorato regionale dei Beni Culturali e dell'Identità Siciliana il restauro delle due tele e ho comunicato questo intendimento al parroco della Basilica, Don Stefano Modica".
L'assenza dei due dipinti era stata rilevata dalla professoressa Terranova a seguito di approfonditi studi all'archivio di Stato grazie ai quali aveva notato come, delle sei tele dedicate alla Madonna delle Grazie riportate nei testi del 1790, soltanto quattro fossero ancora presenti nella Chiesa. Da lì la ricerca, condotta dai Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale che ha portato le indagini a Roma nello studio del pittore pozzallese Valente Assenza, morto nel 1998, al quale negli anni settanta sarebbe stato commissionato il restauro delle tele che, a seguito delle indagini, sono state rinvenute da una figlia nel laboratorio del padre.
Probabilmente l'artista aveva ricevuto le due tele dal parroco di allora, anche degli deceduto, per restaurarle. La figlia dell'artista, peraltro, era ignara che nello studio del padre vi fossero da anni quei due dipinti arrotolati. Le tele ritrovate rappresentano un'importante testimonianza storica dell'attività monastico-conventuale dell'ordine dei Mercedari Scalzi di Siviglia cui la Basilica apparteneva e di cui i dipinti rappresentano personaggi di primo piano: il fondatore dell'ordine Pietro Nolasco e la Beata Marianna.
Di quest'Ordine monastico oggi rimane traccia solo a Modica essendo i conventi della Sicilia stati trasformati o demoliti nel tempo e distrutte le altre tele.
CHI ERA VALENTE ASSENZA (1914-1998). BIOGRAFIA (dalla Biblioteca Civica di Pozzallo).
Figlio di Angela Spadaro e Giorgio Assenza, quinto di otto fratelli tra cui Enzo, scultore, Valente apparteneva ad una famiglia modicana legata da sempre alle vacanze estive pozzallesi: fin dalla prima età cominciò a dipingere guidato da suo padre fotografo, decoratore, pittore e scultore, da suo fratello Beppe e, soprattutto, dal Canonico Orazio Spadaro, suo zio materno, sacerdote-pittore con studio a Modica alta, molto noto per le infinte testimonianze artistiche lasciate in Sicilia e altrove.
Nell’estate del 1931, trovandosi con la sua famiglia in vacanza a Pozzallo, il giovanissimo Valente prende come modelli bagnanti e pescatori, bambini e donne con abiti neri e fazzoletti in testa, immortalandoli in scene piene di freschezza, come “Bambini con flauto”, “Pidocchi”, “Il Muto” e altre tele ancora. Alcune di queste opere giovanili nel 1995 sono state donate, dal loro autore, alla Biblioteca comunale di Pozzallo, come omaggio alla sua città natale. a diciotto anni gli furono commissionate due grandi pale d'altare per la Chiesa di San Diego a Canicattì, oltre ai consensi e riconoscimenti ricevette un compenso che gli permise di fare il grande passo. Così assieme al fratello diciassettenne Enzo, scultore di grandi promesse, nel 1933 partì con entusiasmo e mille speranze alla volta di Roma, allora fucina di artisti e dispensatrice di gloria. Nella capitale seguì corsi di nudo all'Accademia d'Italia e di Francia e lì si distinse per la sicurezza e la forza espressiva del tratto, per la possente plasticità delle forme.
Nel 1934 partecipò e vinse ex equo con una litografia su Enrico Toti il grande concorso nazionale indetto dalla grande Regina Elena di Savoia su "La Guerra e la Vittoria" allestito al Quirinale.
Una importante "Crocifissione", disegno a carboncino eseguito quando era ancora a Siracusa, e altri studi di nudo realizzati all'Accademia insieme alle opere del fratello Enzo segnarono il loro avvenire, lasciando, per la loro drammaticità espressiva, letteralmente stupita Miss Kempy (miliardaria americana, mecenate e molto nota negli ambienti artistici romani) che, parlandone a Lady Egerton, nobile inglese e dama di compagnia della Regina Elena, diede il via alle fortune romane dei due fratelli. Quest’ultima, infatti, colpita dal talento dei due giovani, permise loro di allestire nel suo Palazzo una mostra personale, inaugurata dalla Regina Elena e visitata dalla nobiltà romana. La stessa Regina acquistò tutte le loro opere per la sua collezione privata, assegnando loro un luminoso “studio d’arte” attrezzato di tutto punto nel centro di Roma ed una “borsa di studio” biennale per la frequenza dell’Accademia di Belle Arti.
Questo periodo ricco di fruttuoso studio e lavoro fu bruscamente interrotto dalla chiamata alle armi che lo costrinse ventunenne a partire per l'Etiopia nell'estate del 1935. Seguirono due anni faticosi in cui i suoi sogni di giovane artista si infransero di fronte a una dura realtà di sofferenza, devastazione e morte. Portò con sé colori e pennelli e tra una marcia e l'altra riuscì anche qui, su pezze da piedi e stracci di tela fortuiti, a dipingere opere e ritratti di grande intensità. Tra i vari compagni che vide morire, l'arte lo fece sopravvivere riuscendo parzialmente a lenire il dolore e lo scoramento. Di quel periodo rimangono alcune opere ad olio (autoritratti, ritratti di amici commilitoni, quadri con scene di vita della realtà in Etiopia) e un prezioso diario con molti schizzi a penna e disegni. Sono pagine in cui descrive con lo sguardo disincantato le crudezze della guerra, gli usi e costumi della popolazione indigena con riferimenti storici di estremo interesse, ma al tempo stesso vi esprime tutta la ricchezza del suo mondo interiore fatto di ricordi, speranze e compartecipazione al destino di amici, compagni e persone del luogo incontrate.
Tornato dalla guerra nel 1937, si trasferì a Genova ove per dodici anni lavorò soprattutto nella ritrattistica per la nobiltà genovese ed in particolare per l'Ambasciatore del San Salvador, De Canessa, realizzando grandi ritratti di tutti i membri della famiglia e un busto in bronzo del figlio morto durante la rivoluzione.
Durante gli anni bui della seconda guerra mondiale lavorò come grafico pubblicitario presso l'Ansaldo.
Nel 1949 tornò a Roma, ove nel frattempo si è trasferita tutta la sua famiglia, per assistere la madre ammalata e proseguire nella sua produzione di ritratti altamente espressivi (fra cui quelli della Marchesa de Curtis, della Contessa Gambaro, moglie di Totò, delle attrici Franca Valeri e Anna Maria Pierangeli, della Marchesa Bombrini, del principe Ferrari, della famosa cantante Maria Callas) e di opere libere, paesaggi e nature morte.
Amico del regista Anton Giulio Bragaglia, protetto dalla Contessa Tatiana Tolstoi e dalla scrittrice Margherita Sarfatti, Valente annoverava fra i suoi amici e conoscenti il musicista Gianluca Tocchi, il poeta Gino Severini, molti critici d’arte, come Michele Biancale, ed il filosofo Adriano Tilgher. Erano noti anche i suoi buoni rapporti con il poeta Trilussa, con l’attrice Emma Grammatica e con Totò.
Le mostre divennero così una presenza costante, accompagnate peraltro da successi sempre gratificanti, da premi vari e dal favore del pubblico. La richiesta di opere a carattere sacro continuava tuttavia con ritmo crescente: prove di questa sua pittura si trovano in molte chiese della penisola e, per problemi di spazio, non è possibile indicarle tutte.
Modica ebbe certamente la parte del leone: nel Santuario della Madonna delle Grazie ha affrescato soffitto e pareti ("Ester e Assueo", "Giuditta e Oloferne", "Giaele e Sisara", "Angelo" del 1965 - 66 e "Il miracolo di Santa Teresa del Bambin Gesù" e "Le anime purganti", quest'ultima copia di un quadro del 1700, eseguiti nel 1973 - 74), nella Chiesa di San Pietro troviamo il “Battesimo di Cristo” (1957), il “Martirio di San Pietro” e la “Pesca miracolosa”. Per la Chiesa dell'Istituto Crescione Lupis di Ragusa Valente eseguì la "SS. Trinità con Madonna e San Giovanni" (1959) e per il Pantheon di Siracusa il "S. Antonio" e "La Madonna della Pace" (1960 - 61). Queste ultime opere furono esposte anche ad una mostra personale di grande successo allestita a Siracusa presso "La Fontanina" di Angelo Maltese, famoso fotografo e suo amico.
Nel 1961 sposa Erika Steinhagen, tedesca conosciuta a Roma attraverso una comune amica pittrice, da cui avrà due figlie.
Nel 1962 lavora per il manifesto delle rappresentazioni classiche del Teatro Greco di Siracusa e l'anno successivo inizia l'attività di insegnamento di disegno dal vero presso l'Istituto d'Arte di Cerreto Sannita (BN) e successivamente di Marino e Ciampino .
Per la chiesa di Santa Venera di Avola dipinge "Il Battesimo quale sacramento" (1968) dove, da uno stile più classicheggiante che aveva caratterizzato fino ad ora le sue opere, passa ad una maggiore stilizzazione e modernità.
A Pozzallo è sua la grande “Apoteosi di San Giovanni Battista”, dipinta nel 1969 nella Chiesa omonima, affresco di grande ampiezza, i cui colori tenui e riposanti inducono quasi naturalmente al raccoglimento e alla preghiera.
Nel Santuario di Santa Maria di Portosalvo realizza la decorazione della volta dell’Abside e una copia della tela del Seicento “San Giorgio”. Nella chiesa di Sant'Anna di Modica c'è la testimonianza della sua ultima opera modicana, datata 1991 che dipinge, già ammalato per l'abside della chiesa con una composizione di sette metri per cinque che racchiude i quattro momenti salienti della vita del Cristo (Natività, Ultima Cena, Crocifissione e Resurrezione). Nel 1992 gli viene assegnato a Siracusa il Premio Sicilia - il Paladino. Importanti sue opere di restauro operato con rara perizia sono a Ispica, Siracusa, Ragusa, Noto ed Avola.
Nel corso degli anni realizza anche pregevoli sculture, busti di personaggi famosi e soggetti vari, privilegiando comunque i temi religiosi così come aveva fatto con la pittura. Tra le sculture, significativi e quattro bassorilievi in bronzo commissionati nel 1985 per la tomba della famiglia La Ruffa a Polistena raffiguranti la Natività, il Battesimo, la Crocifissione e la Resurrezione.