Processo Stato - mafia a Palermo, il Pg chiede alla Corte d'Appello la conferma delle condanne
"Le stesse menti raffinatissime che avevano sostenuto la coabitazione tra il potere criminale e le istituzioni, avviando la trattativa, consentono a Riina di dire che lo Stato si è fatto sotto. Ma questo induce ulteriore violenza. Poi una volta arrestati Riina e i fratelli Graviano (le stesse menti raffinatissime, ndr ) garantiscono una latitanza protetta per lo "zio", Bernardo Provenzano. Nel frattempo nasce Forza Italia. Ma i fatti rimasti accertati non possono essere nascosti e taciuti: le verità, anche scomode, devono essere raccontate". Così il sostituto procuratore generale di Palermo Giuseppe Fici concludendo la requisitoria del processo d'appello sulla trattativa Stato-mafia. " Un ruolo decisivo in questa situazione di convivenza gattopardesca lo ha avuto anche Marcello Dell'Utri che ha curato la tessitura dei rapporti tra cosa nostra e ndrangheta con il potere politico- dice -E lo stesso Berlusconi, chiamato a testimoniare sull'argomento quando era premier, si è avvalso della facolà di non rispondere. Un suo diritto certo ma di certo ci si aspettava un contributo diverso su questo argomento".
Al termine della requisitoria la Procura generale di Palermo ha chiesto alla corte d'assise d'appello di confermare le condanne inflitte in primo grado a boss, ex carabinieri e politici imputati di minaccia a Corpo politico dello Stato al processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia. Nel primo grado a 28 anni di carcere fu condannato il boss Leoluca Bagarella, a 12 gli ex ufficiali del Ros Mario Mori e Antonio Subranni, l'ex senatore di Fi Marcello Dell'Utri e il capomafia Antonino Cinà. Otto anni la pena inflitta all'ex capitano del Ros Giuseppe De Donno. Vennero dichiarate prescritte invece le accuse per l'ex boss Giovanni Brusca, mentre l'ex figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo Massimo Ciancimino ebbe 8 anni per calunnia, accusa dichiarata prescritta in appello.
(Nella foto il boss Leoluca Bagarella)