Depistaggio strage di via D'Amelio, iniziata a Caltanissetta la requisitoria
"Mi scuso in anticipo con le parti civili di questo processo perché la requisitoria che mi accingo a fare certamente non sarà adeguata a quella che sarebbe dovuta essere la conclusione di un processo di questa portata.
E' un processo che si è celebrato in 70 udienze, sono stati escussi oltre 112 soggetti, con oltre 4.900 pagine di trascrizioni.
Non sto qui certamente a sottolineare, benché certamente parliamo di imputazioni precise nei confronti di soggetti ben determinati, le implicazioni ulteriori che ha questo processo. Certamente meritava una discussione diversa da parte del pubblico ministero". E' iniziata così la requisitoria del pm Stefano Luciani nel processo che vede imputati tre poliziotti Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo per il depistaggio delle indagini sulla strage di via D'Amelio, in cui morirono il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta. Secondo l'accusa i tre ex componenti del gruppo "Falcone Borsellino", assistiti dagli avvocati Giuseppe Panepinto e Giuseppe Seminara, avrebbero indotto Vincenzo Scarantino a dichiarare il falso, mediante minacce, pressioni psicologiche e maltrattamenti. L'accusa - di cui sono chiamati a rispondere davanti al Tribunale collegiale presieduto da Francesco D'Arrigo - è di calunnia aggravata dall'aver favorito Cosa nostra.
"Questo processo - ha continuato Luciani - viene a continuità di un lavoro che inizia alla Procura di Caltanissetta nel 2008 quando Gaspare Spatuzza inizia a raccontare una verità che da subito è apparsa dirompente. Ed era una verità che andava a sconvolgere ben due processi che si erano già celebrati per la strage di via D'Amelio e che andava a mettere in discussione condanne all'ergastolo. E' facile dunque comprendere che tipo di impegno attendeva la procura di Caltanissetta e le altre procure interessate".
"Il più grande depistaggio della storia italiana nasce a Pianosa.Come si arriva all'interrogatorio del 24 giugno 1994? Quindici giorni dopo l'arresto di Vincenzo Scarantino, avvenuto il 29 settembre 1992, atterra sul tavolo del procuratore di Caltanissetta Tinebra una nota del Sisde con a capo Contrada, veicolata attraverso la Squadra Mobile di Caltanissetta nella quale incredibilmente, il Sisde anziché dire che Scarantino è un piccolo delinquente di borgata, lo definisce un boss mafioso". Lo ha detto nel corso della requisitoria del processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D'Amelio il pm Stefano Luciani. Secondo l'accusa gli imputati del processo, i poliziotti Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo avrebbero indotto il falso pentito Vincenzo Scarantino a dichiarare il falso, mediante minacce, pressioni psicologiche e maltrattamenti. "I suoi precedenti - ha aggiunto Luciani - erano assolutamente distonici rispetto al quadro che si vuole rappresentare. Da quel momento Vincenzo Scarantino subisce un pressing asfissiante. A Venezia, a Busto Arsizio, viene sottoposto a interrogatori costanti e ripetuti. Vincenzo Scarantino arriva al 24 giugno 1994 che è un uomo esasperato". "Mi hanno spogliato nudo e mi colpivano i genitali con la paletta, mi dicevano di guardare a terra e mi colpivano se guardavo a terra, mi buttavano l'acqua gelata mentre dormivo nella cella. Tutto questo dietro la promessa: ti facciamo uscire da qui e ti diamo 200 milioni di lire. Questo raccontava Vincenzo Scarantino alla moglie Rosalia Basile ed è un cliché che si ripete con Salvatore Candura, al quale vengono fatte le stesse promesse e le stesse pressioni psicologiche.
Alla fine Scarantino sotto il peso delle pressioni cede e si accolla le accuse: cioè il furto della Fiat 126 utilizzata come autobomba per la strage. Scarantino ha poi detto: ho recitato un copione esattamente come mi era stato detto di fare da Arnaldo La Barbera e dal poliziotto Mario Bo", ha detto il pm Luciani.