I "nostri" migranti: quando le famiglie di Acate partivano per l'Africa in cerca di lavoro
Corsi e ricorsi storici. Non poche famiglie acatesi negli Anni Venti e Trenta del Novecento, partivano da Biscari (a quel tempo la cittadina aveva quel nome) per l'Africa settentrionale con le valigie di cartone, si integravano e spesso realizzavano i loro sogni.
Da quelle terre ora, sfidando spesso la morte, continuano ad arrivare in Sicilia i disperati del XXI secolo in cerca di una vita dignitosa. Ed Acate, assieme a Santa Croce Camerina, è il comune ibleo che ne accoglie di più e dove grazie alla Caritas si sono avviate molteplici azione positive rivolte alla popolazione immigrata. L'Algeria in particolare, assieme alla Libia e alla Tunisia, subito dopo la Prima Guerra Mondiale fu l'approdo di tanti artigiani (muratori e falegnami soprattutto) in cerca di un lavoro e di viticoltori che avevano fatto i conti con la fillossera ancora non debellata.
Fra questi ci furono anche reduci del primo conflitto mondiale che tentavano di sfuggire alla fame e alla disoccupazione, mentre in paese si contavano le vittime della Spagnola.
Alcuni misero radici nella città di Bona e si impiegarono nell’edilizia diventando apprezzati capomastri. Qui era presente una consistente colonia di "biscarani", fra cui anche i nonni dell’attrice Edwige Fenech, cittadina onoraria di Acate.
Nella foto, scattata nel 1928, si nota a destra, che trattiene una bicicletta, Gaetano Sgarlata, classe 1894, che assieme alla moglie Rosaria Garraffa dovette rientrare in Sicilia nel settembre del 1939, allorché le controversie franco-italiane, prologo all’entrata in guerra dell’Italia fascista, divennero più accese. L’istantanea ritrae il brindisi fra appaltatori, operai algerini ed italiani al termine dei lavori in un cantiere.
Un esempio d’integrazione fra le due etnie che ancora oggi potrebbe essere preso a modello.