Mafia
Il boss Brusca in permesso per trascorrere fuori le Feste
Giovanni Brusca, il celebre ex boss mafioso, ha trascorso le festività di fine anno in permesso premio, lasciando cioè il carcere romano di Rebibbia, per farvi rientro oggi allo scopo di partecipare, in videoconferenza, all'udienza del processo sulla trattativa Stato-mafia, in cui è imputato ma anche testimone e principale caposaldo dell'accusa. Il collaboratore di giustizia, reo confesso di centinaia di omicidi, tra cui quello del piccolo Giuseppe Di Matteo, avvenuto venti anni fa, aveva goduto di permessi regolari fino al settembre 2010, ma un'inchiesta della Procura di Palermo aveva portato alla sospensione del "trattamento premiale" in suo favore. Secondo quanto scoperto dai carabinieri, infatti, l'ex capo del mandamento di San Giuseppe Jato, nel palermitano, già fedelissimo di Totò Riina, avrebbe approfittato dei periodi trascorsi fuori dal carcere per curare affari personali, per gestire alcuni beni attraverso una rete di prestanome e per cercare di farsi restituire un appartamento di sua proprietà, ma la cui titolarità formale era di terze persone. Il processo scaturito da questa vicenda si è però concluso con l'assoluzione - oggi definitiva - di Brusca dall'accusa, derubricata da estorsione in tentativo di violenza privata. La fittizia intestazione di beni era stata invece dichiarata prescritta in fase di indagini per tutti gli indagati e ancora prima erano stati restituiti al capomafia i circa 200 mila euro che gli erano stati sequestrati e la cui provenienza era risultata lecita.
Da qui la nuova concessione di permessi premio, prima goduti regolarmente dal pentito, con una media di cinque giorni al mese trascorsi fuori dal carcere. Per le festività di fine anno, come di consueto, Brusca ha goduto del permesso in formale stato di libertà, ma sotto la scorta del Gom, il Gruppo operativo mobile della polizia penitenziaria: è stato cioè comunque sorvegliato. Tutto questo avviene a pochi giorni dal ventesimo anniversario dell'orribile omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, tenuto prigioniero per 26 mesi, allo scopo di indurre il padre, il pentito Santino Di Matteo, a ritrattare e poi fatto strangolare dal capomafia l'11 gennaio del 1996, in coincidenza con la sentenza che condannò lo stesso Brusca al suo primo ergastolo, per l'omicidio dell'esattore mafioso Ignazio Salvo. Secondo una notizia che si era sparsa in un primo momento ieri sera, il pentito avrebbe ottenuto la detenzione domiciliare, dopo essere rimasto in cella dal 20 maggio 1996, ma in realtà, secondo quanto si è appreso da fonti dell'amministrazione penitenziaria, si tratterebbe solo di
uno dei permessi temporanei, già concessi a Brusca sin dal 2004. Anche dodici anni fa, comunque, la notizia aveva scatenato polemiche pesantissime. Brusca, dopo quasi 20 anni di carcere, ha da tempo i requisiti per essere ammesso alla detenzione fuori dal carcere, come il fratello Enzo Salvatore, che la ha avuta già nel 2003, e in ogni caso, poichè è stato condannato a una pena complessiva di 30 anni, potrà ottenere la liberazione definitiva al più entro il 2020.