San Suu Kyi rompe il silenzio e apre a una verifica internazionale
Accusata di essere rimasta inerte sulla crisi Rohingya, la leader de facto del governo birmano, Aung San Suu Kyi, ha rotto il silenzio e ha detto che il suo Paese e' pronto a una "verifica internazionale" su come il governo ha gestito la crisi della minoranza musulmana nel Paese buddista e a verificare lo status dei 410mila rifugiati in Bangladesh. "Siamo pronti a cominciare il processo di verifica in qualsiasi momento", ha detto.
La Premio Nobel per la Pace ha aggiunto che il governo deve ancora scoprire "i veri problemi" e che ci sono state "accuse e contestazioni che devono essere chiarite". Ma ha aggiunto di condannare "tutte le violazioni dei diritti umani e le violenze ingiustificate. Siamo impegnati a riportare la pace e la stabilita' e lo stato di diritto in tutto lo Stato".
Era la sua prima uscita pubblica, da quando il 25 agosto ha acquistato nuovo vigore la repressione dell'esercito birmano nei confronti della minoranza musulmana, un'azione militare che secondo l'Onu potrebbe avere le caratteristiche di una "pulizia etnica", ma che avviene in zone e villaggi in cui il Myanmar non concede l'accesso. Suu Kyi ha aggiunto che il suo governo non elude le sue responsabilita' e sta con chi soffre. "Nonostante tutti gli sforzi, non abbiamo potuto fermare il conflitto... Ma non e' intenzione del governo eludere le sue responsabilita'". "Anche noi siamo preoccupati, vogliamo scoprire quali siano i veri problemi. Ci sono state accuse e contestazioni, dobbiamo ascoltarli tutti e dobbiamo assicurarci che questa affermazioni siano basate su prove solide prima di agire".