Stato-mafia, "Solido asse Riina-Dell'Utri-Berlusconi"
"Erano molteplici i canali di comunicazione Riina-Dell'Utri-Berlusconi. E' lo stesso Riina che lo racconta mentre e' intercettato: 'Ma noi altri abbiamo bisogno di Giovanni Brusca per cercare Dell'Utri? Questo Dell'Utri e' una persona seria...'". Lo sostiene il sostituto della Procura nazionale antimafia Nino Di Matteo, riprendendo stamane a Palermo la requisitoria al processo sulla trattativa tra Stato e mafia. A sostegno della tesi della trattativa e della "linea di comunicazione" su vari livelli tra cosa nostra e Berlusconi - parlando nell'aula bunker del carcere Ucciardone - l'accusa prosegue ricordando ancora le parole del boss dei boss, Toto' Riina, morto in carcere nel novembre scorso: "...Berlusconi in qualche modo mi cercava... si era messo a cercarmi... mi ha mandato a questo... Gli abbiamo fatto cadere le antenne - ha detto Di Matteo rileggendo le intercettazioni del 2013 - e non lo abbiamo fatto piu' trasmettere". Riina - ha continuato Di Matteo - ha anche detto che "i fratelli Graviano (boss di Brancaccio, ndr) avevano Berlusconi".
Altro passaggio importante della requisitoria del Pm Nino Di Matteo, stamane al processo Stato-mafia, in corso a Palermo, e' quello sul "papello" (il documento con le richieste di Cosa nostra) e sul "contropapello": "Sul primo documento - consegnato da Massimo Ciancimino il 29 ottobre 2009 - non e' emersa nessuna manomissione. Sul secondo non abbiamo prove per dire che documento sia stato oggetto di veicolazione, a differenza del papello, tra le due parti in trattativa. E sul contropapello vi e' la prova scientifica - ha detto Di Matteo - che e' stato vergato a mano da Vito Ciancimino". Il pm ritiene di avere riscontrato alcuni "passaggi" sul contenuto del papello.
Il documento (con le richieste di cosa nostra allo Stato) parla di "annullamento del decreto legge sul 41 bis". "Non si dice semplicemente 41 bis ma - specifica il pm - si fa esplicito riferimento al decreto legge, e tale era, dopo le stragi".
Tra le richieste anche la possibilita' di estendere ai mafiosi i benefici previsti per i dissociati delle Brigate Rosse. "Proprio nel 1992 si discuteva di dissociazione dei mafiosi e dell'eventualita' di creare all'interno di alcune carceri delle apposite aree di detenzione: ce l'ha detto l'allora capo del Dap mentre il pentito Gaspare Mutolo ci ha parlato del disappunto del giudice Paolo Borsellino di fronte a tale eventualita'".
L'accusa al processo Stato-mafia ha anche fatto emergere il "sospetto" che nutriva Salvatore Riina: Binnu Provenzano, era uno "spione", era succube di Vito Ciancimino e lui era stato tradito e "venduto" dal suo storico compagno di vita e di mafia. Lo ha sostenuto - nel corso della requisitoria nel processo Stato-mafia - il sostituto della Procura nazionale antimafia, Nino di Matteo. "...'Fa parte di essere carabiniere se non vuole stare dove deve stare'. Questo lo ha detto Salvatore Riina, parlando del suo amico Provenzano, mentre veniva intercettato nell'agosto del 2013. Riina - ha proseguito Di Matteo - si lamenta di Bagarella e Giovanni Brusca che hanno avallato la scelta di Provenzano di spostare le stragi in continente per fare meno scruscio (rumore, ndr) in Sicilia". In altre parole - questo sostiene l'accusa - la trattativa proseguiva tra carabinieri del Ros e Provenzano (con il tramite di Vito Ciancimino) e Riina sarebbe stato "venduto". E ancora Riina che viene rievocato dall'accusa: "ma chi e' che dice di non fare niente... questo Binnu Provenzano... qualcuno glielo dice. Ai tempi miei - legge Di Matteo rivolgendosi alla Corte d'assise presieduta da Alfredo Montalto - solo 'u zu Toto' Riina trattava cose e persone importanti".