Montante in carcere a Caltanissetta: gli "intrusi" ed il mistero dell'Ipad
Sono un giardiniere e un metronotte le due persone, che senza alcuna autorizzazione, sarebbero state fatte entrare nell'abitazione di Serradifalco dove Antonello Montante era agli arresti domiciliari. E' quanto ha accertato la Squadra Mobile di Caltanissetta dopo aver monitorato la villa dell'ex presidente di Sicindustria ieri condotto in carcere con l'accusa di avere violato le prescrizioni dei domiciliari e di avere agito per inquinare le prove.
In particolare, i poliziotti - come ricostruisce "l'ordinanza bis" del gip Maria Carmela Giannazzo che ha disposto l'aggravamento della misura cautelare - hanno notato la presenza di un sacco della spazzatura all'interno di un'auto in uso al giardiniere. Dentro e' stato trovato uno scatolo bianco relativo ad un Ipad riconducibile a Montante dal numero Imei. Gli inquirenti ritengono che l'Ipad sia stato introdotto nell'abitazione dopo il 14 maggio, giorno dell'arresto dell'ex numero uno di Confindustria nell'abitazione di Milano. Il sacco e' stato rinvenuto il 16 maggio, dopo che il giardiniere era entrato nella villa durante il pomeriggio trattenendosi solo quattro minuti. Elementi che proverebbero l'attivita' di inquinamento delle prove, peraltro compiuta dal Montante gia' in occasione del suo arresto: si era infatti barricato in casa per quasi due ore, non aprendo ai poliziotti e distruggendo documenti e circa ventiquattro pen drive. Aveva tentato anche di disfarsi di altra documentazione poi trovata e sequestrata. Alcune pen drive, dopo essere state messe in un sacchetto di plastica, erano state buttate dall'arrestato in un cortile adiacente al palazzo, ma anche queste erano state recuperate, al pari di uno zainetto, contenente altre pen drive e documenti, che aveva gettato nel balcone di un vicino.
Nell'"ordinanza bis", con la quale viene disposto il carcere per Montante, il giudice sottolinea "la mancanza di una reale affidabilita' dell'indagato", ma anche il ruolo delle due collaboratrici che lo avrebbero aiutato a occultare elementi di prova, "non curandosi neppure della presenza delle forze dell'ordine". Una di loro avrebbe anche provveduto a resettare il proprio cellulare consegnandolo alla polizia solo dopo avere reinizializzato. Il loro comportamento e quello di coloro che si sono introdotti senza l'autorizzazione dei magistrati, come il giardiniere, a giudizio del gip, sono la riprova delle "condotte volte a inquinare le prove" che "ben possono essere commesse impartendo a terzi le necessarie direttive per la loro concreta esecuzione". E possono essere commesse anche in riferimento alla circostanza che "l'indagato ha ancora la disponbilita' di un apparecchio Ipad che puo' impiegare per comunicare all'esterno con il sistema wathsapp o altri sistemi di messaggistica non intercettabili".
IL GENERALE ESPOSITO NON RISPONDE AL PM
Il generale Arturo Esposito, ex direttore del servizio segreto civile Aisi, interrogato oggi a Roma dai Pm di Caltanissetta, si e' avvalso della facolta' di non rispondere.
Indagato nell'ambito dell'indagine sul "sistema Montante" e assistito dagli avvocati Davide Schillaci e Francesco Bruno, ha anche assicurato di essere "a completa disposizione della magistratura": non appena avra' visionato le carte dell'inchiesta, offrira' un "contributo reale" alle indagini. Anche se non e' stato verbalizzato, ha detto ai pm di essere estraneo ai fatti.
Nella sua ordinanza gip di Caltanissetta sosteneva che "puo' dirsi indubitabilmente accertato che vi fosse uno stabile canale di comunicazione che, muovendo dalla Sco di Roma, avesse come terminale ultimo appartenenti all'Aisi, per mantenere costoro costantemente informati degli sviluppi delle indagini che questo ufficio stava conducendo nei confronti di Montante".
. - "Iddu dici 'si chistu cca' accappotta, mi fa accappottare a mia'...". "Iddu", "Lui", per il gip di Caltanissetta, era proprio il generale Arturo Esposito, allora direttore dell'Aisi, tra gli indagati nell'inchiesta che ha portato all'arresto di Antonello Montante e di una manciata di investigatori accusati di avere creato una rete di talpe che serviva a mantenere intatte l'immagine e il sistema di potere dell'industriale nisseno. A pronunciare la frase era stata la moglie di Giuseppe D'Agata, ex capocentro della Dia di Palermo, dopo un periodo nei Servizi tornato tra i carabinieri, finito agli domiciliari: allora era gia' indagato nell'ambito del procedimento che riguardava Montante e il generale, secondo il giudice, poteva temere che i guai giudiziari di D'Agata potessero inguaiare anche lui. Il generale Esposito, per il gip, sarebbe stato, cosi', "prontamente ragguagliato di tutto cio' che veniva travasato da Grassi e Cavacece un merito alle indagini che questo ufficio stava conducendo su Montante", attivandosi "in maniera costante nel corso del tempo per porre in essere condotte per ostacolarle anche in funzioni dei propri interessi". Andrea Grassi e Andrea Cavacece, rispettivamente ex dirigente della prima divisione del Servizio centrale operativo della polizia e capo reparto dell'Aisi, come Esposito, sono nell'elenco degli indagati non raggiunti da misure restrittive.