Stato-mafia, giudici: "Da Mancino inammissibili le sollecitazioni"
"Non vi e' dubbio che l'intendimento che ha mosso l'imputato sia stato quello di sottrarre in qualche modo alla Procura della repubblica di Palermo le indagini sua 'trattativa stato-mafia' e poi altresi' di sottrarsi al paventato confronto dibattimentale con Claudio Martelli". Lo scrive la Corte d'assise della procura di Palermo nelle monumentali motivazioni di 5252 pagine della sentenza del processo Stato-mafia, a proposito di Nicola Mancino, assolto dall'accusa di falsa testimonianza, in riferimento alle "inammissibile oltre che inopportune" pressioni dell'ex ministro con le sue telefonate all'ex consigliere giuridico del Quirinale, Loris D'Ambrosio, rivolte a chiedere un intervento del Colle. Sollecitazioni rimaste "prive di sbocco", affermano i giudici, perche' la Presidenza della Repubblica e la procura generale della Cassazione, nonche' l'allora superprocuratore antimafia Piero Grasso con la sua "ferma presa di posizione", "sono stati attenti a non travalicare i limiti delle proprie competenze". Non si erano peraltro riscontrate "violazioni delle direttive impartite dal procuratore nazionale antimafia ai tre uffici di procura interessati all'esito delle riunioni di coordinamento e non vi erano certamente le ragioni cui la legge ricollega l'eventuale esercizio del potere di avocazione da parte del medesimo procuratore nazionale antimafia". Mancino "temeva" le iniziative dell'ufficio giudiziario di Palermo "che gia' lo aveva sottoposto a un confronto con Martelli, lo aveva successivamente ancora citato per rendere dichiarazioni come persona informata sui fatti e dopo la testimonianza resa nell'ambito del dibattimento per il processo a carico di Mario Mori aveva manifestato l'intendimento di richiedere al Tribunale un confronto dibattimentale tra lo stesso Mancino e Martelli". Un atteggiamento, tuttavia "che si pone in "posizione di neutralita' rispetto alla contestazione di falsita' della testimonianza sui fatti in oggetto, dal momento che un tale atteggiamento appare compatibile anche con lo stato d'animo di un soggetto che si sente ingiustamente accusato di non dire il vero". Resta il fatto che Mancino "avrebbe dovuto percepire l'inammissibilita' oltre che l'inopportunita' delle sue sollecitazioni".