Castelvetrano, presi due fedelissimi di Messina Denaro: 15 indagati
-E in corso dalle prime luci dell'alba un blitz della Polizia di Stato volto al contrasto della criminalità organizzata nella Provincia di Trapani e in quella di Caserta. La Squadra Mobile di Trapani, su delega della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, sta eseguendo numerose perquisizioni e arresti nei confronti dei favoreggiatori di Matteo Messina Denaro. Quindici gli indagati a vario titolo per associazione mafiosa, estorsione, detenzione di armi e favoreggiamento della latitanza del boss mafioso. Perquisita anche l'abitazione di Castelvetrano, residenza anagrafica del latitante Messina Denaro.
Il blitz scatta dietro 'l'ultimo' pizzino del capomafia latitante. L'operazione della polizia di Stato, all'alba, in provincia di Trapani, ha assestato un altro colpo alla rete di protezione e di comunicazione di Matteo Messina Denaro. Arrestati in particolare due fedelissimi: il 'postino' del boss, Giuseppe Calcagno, che smistava i pizzini e, quindi, ordini da far valere, senza discutere, sul territorio; e Marco Manzo, una sorta di 'ambasciatore', cui competeva tenere i collegamenti con gli altri mandamenti. La Squadra mobile di Trapani, su delega della Direzione distrettuale antimafia di Palermo, ha eseguito numerose perquisizioni e arresti nei confronti dei favoreggiatori del capomafia ricercato dal 1993. Quindici gli indagati a vario titolo per associazione mafiosa, estorsione, detenzione di armi e favoreggiamento della latitanza del boss. Tra gli indagati lo stesso capomafia per tentata estorsione. Perquisita la sua residenza anagrafica, nel centro di Castelvetrano, abitata dalla madre. Una nuova operazione a tenaglia, dunque, dietro anche il presunto pizzino di Messina Denaro, di cui si parla in un dialogo intercettato. Nessuna tregua al superlatitante.
I 15 indagati devono rispondere, a vario titolo, dei reati di associazione mafiosa, estorsione, detenzione di armi e favoreggiamento della latitanza del boss mafioso. L'indagine, denominata "Ermes Fase 3", ha svelato che gli indagati, collegati ai mandamenti mafiosi di Mazara del vallo e Castelvetrano, si sarebbero adoperati per garantire gli interessi economici, il controllo del territorio e le attività produttive della cosca guidata dal superlatitante Matteo Messina Denaro. Le attività investigative hanno fatto luce sugli interessi economici e i rapporti fra gli affiliati al mandamento mafioso di Mazara del Vallo e altri appartenenti alle famiglie di Marsala, Campobello di Mazara e Castelvetrano. Nel corso di incontri riservati e attraverso lo scambio di "pizzini" si decidevano estorsioni, la compravendita di fondi agricoli e la gestione di lavori pubblici. L'indagine ha dimostrato anche l'intestazione fittizia di beni riconducibili a mafiosi e l'intervento dell'organizzazione per risolvere questioni economiche fra soggetti vicini alle "famiglie". Gli investigatori hanno accertato in particolare che le decisioni in merito ad alcune estorsioni venivano assunte su indicazione diretta di Matteo Messina Denaro. Dalle indagini è emerso inoltre che alcuni degli indagati hanno fatto parte della "rete" nel circuito di comunicazioni finalizzate alla trasmissione dei "pizzini" del latitante; sono intervenuti nella risoluzione dei conflitti interni alla cosca e hanno partecipato a incontri riservati con altri esponenti di vertice delle famiglie mafiose. Sono state documentate le pressioni estorsive esercitate su un agricoltore marsalese, al fine di costringerlo a cedere un appezzamento di terreno, che invece avrebbe voluto acquistare per sè. Le indagini hanno fatto luce anche sui contrasti fra uno degli indagati mafiosi e alcuni imprenditori agricoli e allevatori e sugli incontri tra mafiosi finalizzati a ricercare una soluzione. L'intervento di "cosa nostra" era essenziale anche per risolvere dissidi per l'utilizzo di alcuni fondi agricoli e per il pascolo nelle campagne di Castelvetrano. Attraverso alcune intercettazioni è stato infine scoperto anche un tentativo di estorsione nei confronti degli eredi del defunto boss mafioso di Campobello di Mazara, affinchè cedessero la proprietà di un vasto appezzamento di terreno appartenuto al boss Salvatore Riina. Le minacce dalla cosca mafiosa furono avallate anche da una lettera intimidatoria attribuita al latitante Matteo Messina Denaro, risalente al 2013.
L'indagine della Dda di Palermo ha alzato il velo su un altro pezzo del "sistema" di interessi economici oltre che criminali di Matteo Messina Denaro. Nella gestione dei rapporti tra il grande latitante e le cosche trapanesi un ruolo fondamentale sarebbe stato svolto da Giuseppe Calcagno, 46 anni, e Marco Manzo, 55 anni, entrambi arrestati. Calcagno, in particolare, si occupava della raccolta e distribuzione dei "pizzini" con i quali Messina Denaro faceva arrivare ai suoi uomini gli ordini sulle operazioni da promuovere: soprattutto intimidazioni che servivano a mettere le mani su appezzamenti di terreno e a imporre decisioni per favorire gli "amici". Il metodo dei "pizzini", inventato da Bernardo Provenzano, e il linguaggio arcaico e allusivo adoperato nelle comunicazioni tra boss e gregari contrastano con l'immagine del boss moderno e spregiudicato che Messina Denaro si è costruito nella sua lunga latitanza. Calcagno è descritto come una figura centrale nel "sistema" del padrino. Il suo tasso criminale viene rapportato con la sua vicinanza con il boss Vito Gondola, l'anziano capo del mandamento di Mazara del Vallo morto tre anni fa. Gondola era al centro di una rete di gruppi mafiosi e di "famiglie" che comprendeva mezza provincia di Trapani.
Gli uomini d'onore più in vista erano intervenuti per imporre la vendita di un terreno a Leonarda Furnari, figlia di un boss morto suicida in carcere e 'figlioccia' di don Vito Gondola, capo del mandamento di Mazara del Vallo. La storia è ricostruita dall'inchiesta della Dda di Palermo sull'impero di Matteo Messina Denaro. Leonarda Furnari, 36 anni, si era rivolta alla cosca di don Vito per indurre l'acquirente di un terreno a farsi da parte. La donna ha un'azienda di allevamento ed era interessata al terreno per la sua attività. Le indagini hanno ricostruito tutti i suoi contatti, gli incontri, le conversazioni da cui risulta che era inserita nel 'tessuto mafioso' e rivendicava la sua appartenenza come una 'filosofia di via'. Ma, secondo il gip, non è dimostrata la sua partecipazione alla rete di Messina Denaro.
(Nella foto il ritratto di Matteo Messina Denaro nel salone di casa della madre del boss superlatitante)