Omaggio a Dante, evento culturale a Noto dedicato a Ibn Hamdis e ai poeti persiani.
La 21esima edizione dell’Infiorata di Noto è stata impreziosita, sulla pagina Facebook del Museo Civico di Noto, dall’evento culturale in streaming “Dante, Ibn Hamdis e i poeti persiani”. La conferenza, organizzata da Turnè in Sicily e dall’Associazione Culturale VIA di Modica, con il prezioso contributo del ricercatore islamista Giuseppe Labisi, è stata tenuta dal professore Iman Mansub Basiri, docente di Letteratura Italiana e Persiana presso l’Università di Teheran. Il Professor Basiri, in collegamento diretto dall’Iran, ha analizzato le affinità socioculturali, linguistiche e tematiche che accomunavano la scuola letteraria persiana, quella siciliana e il Dolce Stilnovo, con particolare riferimento a Dante Alighieri, protagonista dell’edizione 2021 dell’Infiorata a 700 anni dalla sua morte. La letteratura persiana si affermò nel X secolo nelle corti saffaride e samanide con la produzione letteraria dei poeti panegirici. Il poeta persiano cortese, così come l’autore provenzale e siciliano, cominciò a tradurre in versi la propria esperienza esistenziale, filtrata attraverso una personale interpretazione lirica. La cultura persiana, mescolandosi dopo con la letteratura araba classica, riuscì ad influenzare la crescente lirica neolatina in modo notevole. Il Professor Basiri ha voluto sottolineare, inoltre, il ruolo svolto dal poeta netino Ibn Hamdis che, con il suo “Diwan” di 30 mila versi, inspirò la metrica, la ritmicità e il lato sonoro delle liriche siciliane e provenzali. Nel suo “Canzoniere” la forma strofica più ricorrente era il distico, con il ricorso alla monorima, ovvero la ripetizione della stessa rima alla fine di ogni verso, che conferì sonorità alle liriche e ne accentuò l’aspetto fonologico. Il ritmo e la metrica che contraddistinsero le sue composizioni riappariranno, qualche secolo dopo, nei sonetti e nelle allitterazioni di Jacopo da Lentini. Basiri ha recitato, a tale riguardo, alcuni versi del poeta siciliano che richiamavano il ritmo e l’artificio del suo predecessore netino:
lo viso, e son diviso dallo viso,
e per avviso credo ben visare,
però diviso - “viso”- dall’ aviso
ch’altr’è lo viso che lo divisare.
Io vedo e son distante dal volto, e penso, così, di veder bene attraverso l’ausilio della mia immaginazione; occorre, però, distinguere il viso dall’immaginazione perché, in realtà, il volto è diverso da come la mente lo immagina. La poesia di Jacopo da Lentini era basata sulla “paronomasia etimologica”, ovvero sul bisticcio, sul gioco di parole. La ripetizione della radice della parola “viso” assumeva significati diversi e permetteva, così, di esprimere la distanza tra la visione concreta e reale e quella simbolica, immaginaria e sentimentale. Tale artificio era tipico della poesia araba e persiana e prevedeva l’adozione del linguaggio aulico dell’ambiente cortese. Nel terzo verso si coglieva, tra l’altro, un chiaro richiamo a quel ritmo persiano che corrisponderebbe, in musicologia, ai sei ottavi, e dunque al ritmo della musica andante e all’allegro. La poesia di Jacopo da Lentini era basata sulla metrica quantitativa, propria della lirica persiana ed araba, che privilegiava la quantità di sillabe, la lunghezza dei versi e la posizione dell’accento. Anche la poesia latina possedeva quantità metrica ma, a differenza di quella araba, era scevra di rima e armonia, tipiche della metrica persiana. L’origine della rima nella poesia romanza, secondo alcuni ricercatori, è infatti da riconnettere alla poesia araba e, soprattutto, proprio al poeta netino Ibn Hamdis. Persino l’etimologia del termine “trovadore” potrebbe derivare dall’arabo “tarab” che significa creare felicità, far divertire, portare allegranza. Il trovadore era, infatti, contemporaneamente cantautore, poeta e musico e, con il suo poetare, riusciva a rallegrare chiunque l’ascoltasse.
Anche il Dolce Stilnovo, secondo Basiri mostra delle contaminazioni con la letteratura mistica persiana, soprattutto sotto l’aspetto contenutistico. Il topos dell’amore, ad esempio, che per Hamdis e poi per la Scuola Poetica Siciliana, era da intendere come una sorta di malattia che conduceva alla follia.
Scriveva Hamdis, nel 12° secolo, rivolgendosi alla donna siciliana:
…Volubile fanciulla che denigri
L’onda inquieta della mia bilancia,
Fattucchiera crudele che estirpi il male
Tormentando l’ammalato,
Cessa le tue cure, perché il farmaco cui anelo
È la saliva delle tue labbra scure.
Sulla scia di Hamdis e della successiva tradizione lirica trobadorica, la scuola siciliana propose lo stesso tema dell’amore/malattia per descrivere la crudeltà della gentil creatura che non si curava dell’amante sofferente:
Sì como ‘l parpaglion c’à tal natura
Non si rancura- de ferire al foco,
m’avete fatto, gentil creatura
non date cura, - s’eo incendo e coco. (Jacopo da Lentini)
Con il Dolce Stilnovo il concetto di amore acquisì una valenza spirituale e la sua sublimazione fu resa possibile grazie al ricorso ad un elemento mistico e filosofico tipicamente persiano. L’amore si elevava in nobiltà spirituale e si cominciò a filosofare attorno a questo sentimento; si cercava di capire e di spiegarlo ricorrendo alla metafisica, come testimoniano le poesie di Cavalcanti e di Dante Alighieri. La sublimazione del concetto di amore era stata, però, espressa già dalla filosofia Scolastica dei filosofi persiani e da Aristotele, per i quali l’amore perdeva il suo valore carnale e passionale, entrando in una sorta di metafisica fino a diventare amore convenzionale. Tale sentimento, espresso dal poeta attraverso l’astrattezza mentale, aveva come scopo quello di riprodurre la bellezza dell’arte, la creazione dell’arte per l’arte. In questa tipologia di amore, non esisteva più né l’amato né l’amante, ma contava solo una “convenzione amorosa” basata sull’arte: è l’arte che giustificava l’amore, che giustificava tutto. Questi concetti erano propri della filosofia persiana e iraniana.
Come si spiega l’influenza della cultura persiana in Sicilia? I motivi comuni della letteratura arabo – persiana furono introdotti nella lirica romanza grazie all’espansione del califfato islamico e, quindi, attraverso le contaminazioni culturali in varie zone dell’Europa romanza, particolarmente in Sicilia e nell’Andalusia. Michele Amari, nella sua “Storia dei Musulmani in Sicilia”, sosteneva che nel dodicesimo secolo in Sicilia vi fossero 30mila soldati persiani attraverso i quali la rima persiana entrò nel parnaso della poesia romanza. Era, dunque, in corso uno scambio culturale tra il mondo neolatino e il Medioriente che, sotto Federico II, nel 1200, interessò tutte le dimensioni liriche dell’epoca.
Basiri ha, anche, esaminato il parallelismo esistente tra il viaggio dantesco e altri modelli di viaggio materiale e spirituale, come quello di Maometto narrato nel “Libro della Scala”. La cultura pre islamica aveva avuto, tra l’altro, un ruolo fondamentale nella formazione della visione religiosa delle culture semitiche e dunque anche del Cristianesimo: i concetti del bene e del male, il peccato e il suo contrario, erano già popolari nella antica Persia ai tempi del profeta e mistico iranico Zarathustra. Persino il termine “paradiso” potrebbe derivare dal persiano avestico “pairidaeza” ovvero “giardino recinto”. “La scelta di tenere a Noto questo ciclo di conferenze dedicate alla civiltà islamica non è stata casuale”, ha dichiarato Luca Licitra di Turnè in Sicily, gestore del Museo civico di Noto. “Il conflitto ideologico tra le due grandi religioni del Mediterraneo, la Musulmana e la Cristiana, ha generato una percezione “negativa” della nostra preziosa eredità islamica, scomparsa dalla memoria collettiva assieme a poeti come Ibn Hamdis. L’Infiorata di Noto sta celebrando il sommo poeta Dante Alighieri, ma sarebbe opportuno ricordare anche quei cantori arabi persiani e di Sicilia che contribuirono al successo della lirica dantesca e alla nascita della letteratura italiana ed europea.
Sabrina Tavolacci