Sfruttamento in agricoltura, Terranova (Flai Cgil): forma di ingiustizia
"Si discute da anni su come estirpare la mala pianta dello sfruttamento, e dell’utilizzo non in linea con la contrattualistica agricola, della forza bracciantile nel nostro territorio, dove la produzione agricola rappresenta una delle attività più importante, per non dire la più importante. Tanto è vero che con la promulgazione della Legge n. 199/2016 nel tessuto economico sono cresciute le iniziative per combattere questa piaga fortemente radicata in agricoltura" Lo afferma in una nota Salvatore Terranova, segretario generale della Flai Cgil di Ragusa.
"La presenza e la vigenza ancora di un contratto collettivo che venne elaborato quando l’agricoltura era realmente stagionale, e quindi aveva senso assumere per il periodo strettamente necessario il bracciante, agevola di fatto l’imprenditore agricolo ad approfittarsi nell’utilizzazione del lavoratore, sia in termini di giornate da attribuire sia nella retribuzione. Come ben si sa, i braccianti vengono assunti con contratti a termine, che, pur essendo a tempo pieno, non determinano l’obbligo per l’azienda di attribuire tutti le giornate realmente lavorate, per cui se verificassimo le buste-paghe dei 28 mila e rotti braccianti impiegati in agricoltura nel nostro territorio scopriremmo, senza tema di essere smentiti, che prevedono meno giornate rispetto a quelle realmente lavorate. E’ invalsa da qualche tempo, come ci fosse una convergenza tra le aziende, la consuetudine aziendale di inserire nelle buste mediamente da 10 a 12 giorni al mese, e tutti sanno che quelle lavorate nelle aziende sono almeno 24/ 25 al mese, per non dire che, quando si tratta di braccianti immigrati, questi lavoravano anche la domenica, addirittura per quasi tutto il mese. Un numero elevatissimo di braccianti si ritrova in busta non più di 110 giornate di lavoro l’anno o anche meno, anche se ne svolgono per 2 volte e mezza di più nella realtà".
"Questo meccanismo che lede la contrattualistica vigente - continua Terranova - costituisce una economia notevolissima per l’azienda, un aggravio per lo Stato che non riceve il pagamento della previdenza e in più quest’ultimo deve liquidare le disoccupazioni agricole ai braccianti. Tutto un meccanismo che agevola soltanto l’imprenditoria agricola, per la quale il costo del lavoro è molto basso, anzi è il più basso in assoluto rispetto ad altri settori, e un danno economico e sociale per i braccianti i cui cud annui non superano spesso un reddito di 15 mila euro l’anno, comprensivo anche della indennità di disoccupazione. Le buste-paga hanno un salario medio tra i 700/ 800 euro al mese. Se questa è la connotazione prevalente che permea il settore agricolo non possiamo sostenere che esso costituisca un punto di forza del territorio e creatore di benessere diffuso per la comunità del territorio ragusano. Certo il benessere è cresciuto, ma una agricoltura così impostata non può che determinare benessere per chi detiene in mano le leve del capitale. Tante iniziative che si muovono nel territorio stanno fornendo una sorta di segnale che sia possibile pensare e realizzare una agricoltura diversa, con un mercato del lavoro più giusto".
"Insomma, pensiamo sia giunto il tempo di mettere in cantiere tutta una serie di strumenti che devono condurre velocemente a far diventare il comparto agricolo un settore ordinario, al pari di altri settori produttivi, in cui la forma di assunzione prevalente sia quella a tempo indeterminato e il ricorso al tempo determinato riservato solo mei momenti di maggiore picco della produzione".