Depistaggio Borsellino, a Caltanissetta depone l'ex poliziotto Genchi
Al processo sul depistaggio davanti alla Corte d'appello di Caltanissetta parla come teste l'ex poliziotto Gioacchino Genchi. Imputati altri ex poliziotti: Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. In primo grado per i primi due e' caduta l'aggravante e il reato di calunnia e' andato prescritto. Ribaudo invece e' stato assolto. Il teste, rispondendo alle domande del procuratore generale Maurizio Bonaccorso, ha parlato del blitz che ha portato all'arresto di Totuccio Contorno e dell'avvio dei procedimenti penali a carico del boss. Dopo il blitz della polizia ci fu un'altra perquisizione da parte dei carabinieri che ebbe un esito positivo con il ritrovamento delle armi. "Con l'arrivo di La Barbera a Palermo pensavo di non dovermi occuparmi di indagini - ha detto il teste - e il capo della polizia Parisi mi impose di dover lavorare con La Barbera. Veniamo dotati da attrezzature speciali che utilizziamo per l'arresto di Vernengo. Io collaboravo con La Barbera, l'attivita' di intelligence veniva affidata a me".
L'ex poliziotto ha raccontato che veniva utilizzata dai mafiosi una cabina telefonica nei pressi della stazione ferroviaria di fronte al covo di Contorno. Al teste e' stato chiesto di raccontare un anno di attivita' e il suo ruolo per le indagini delle stragi di Capaci e via D'Amelio. Un anno di attivita' da maggio '92 a maggio '93 quando il rapporto tra Genchi e La Barbera si rompe. "Mi venne affidata una consulenza al procuratore Celesti per analizzare l'agenda elettronica di Giovanni Falcone. Facevo questo lavoro a casa mia. Poi c'e' la strage di via D'Amelio e mi viene affidato un ulteriore incarico di consulenza dal dottor Petralia in relazione alla presunta intercettazione abusiva in casa alla famiglia Borsellino - Fiore dell'abitazione di via D'Amelio". "Non potendo mettere gli 'scappati di casa' - ha ricordato Genchi - abbiamo chiamato il gruppo Falcone - Borsellino. Primo ad essere aggregato alla Squadra mobile sotto Natale del '92 La Barbera viene rimosso e poi viene aggregato alla Criminalpol di Palermo. Io sono gia' alla Mobile con dei poliziotti che ho portato". Il teste parlando di alcuni interrogatori percepisce "immediatamente che Candura e Valenti vengono istruiti". Un rapporto fiduciario tra Genchi e La Barbera che "non era ipocrita ed era convinto che io potessi rompere le uova nel paniere. Era il mio superiore e poi quando ho capito che alcune cose iniziavano a vacillare il vaso si e' riempito".
"La Barbera mi disse piu' volte che i servizi volevano entrare nelle indagini delle stragi. Ci fu un tentativo di Contrada - ha aggiunto - di entrare nelle indagini e andarono pure da Pignatone. Se La Barbera avesse saputo che Contrada aveva rapporti con la procura di Caltanissetta non mi avrebbe fatto indagare su Contrada". Lo ha detto l'ex poliziotto Gioacchino Genchi. Ha aggiunto che dopo l'arresto di Vincenzo Scarantino non sapeva che nella cella, a Venezia, La Barbera avesse messo una persona di sua fiducia che gli disse che Scarantino non sapeva nulla della strage di via D'Amelio. Arnaldo La Barbera, inoltre, "era contro la violenza da parte dei poliziotti. Me lo disse lui nel sottolinearmi l'importanza di quello che stava succedendo in merito all'arresto di Salvatore Candura, temendo che qualcuno avrebbe mollato qualche ceffone... per lui gli operatori non avevano colto l'importanza che il caso aveva".
"La notte tra il 4 e il 5 maggio decisi di rompere il rapporto con La Barbera perche' mi nascondeva alcune cose. Lui non mi aggiornava sulle indagini di via D'Amelio e Capaci. La Barbera stava lavorando su dei fini istituzionali che non erano previsti. Ho fatto una scelta diversa e non accettavo di trasgredire ai miei doveri istituzionali": lo ha detto Gioacchino Genchi dinnanzi alla Corte."Non si volevano individuare i veri responsabili delle stragi, su Capaci c'era il movente politico. Nel '92 La Barbera voleva andare via da Palermo. Lasciare la Squadra mobile. E mi disse che voleva fare un giro con l'elicottero e sopra la questura voleva fare la pipi'. Questo mi disse alla fine del '91 e prima dell'omicidio Lima". Poi ha affermato: "La Barbera ha eseguito direttive e non ha mai agito da solo. Ora e' facile processare i morti".
"La strategia di La Barbera era vestire il 'pupo', a Roma non vogliono che si volevano si andasse oltre": lo ha detto l'ex poliziotto Gioacchino Genchi al processo depistaggio su via D'Amelio davanti alla Corte d'Appello di Caltanissetta a carico di tre ex agenti della Squadra mobile di Palermo. "La mia unica fonte e' La Barbera - ha detto Genchi - e quando ci viene comunicato che stavano arrestando Contrada, mi spiega che a Roma stavano somatizzando, non piacevolmente. Contrada era in un gruppo completamente opposto a quello di Parisi. A Roma erano preoccupati su diversi aspetti perche' Contrada era un uomo delle istituzioni e avevano timori che parlasse di altre situazioni. Era stato espulso dal sistema. La Barbera mi dice che tutto quello su cui stavamo indagando si doveva bloccare: dai Servizi segreti, agli Stati uniti d'America, all'elezione del presidente della Repubblica quali movimenti delle stragi. Dopo l'arresto di Contrada si fa marcia indietro. Si inizia a semplificare le cose. Mi rendo conto che sono inutile. Le ipotesi di lavoro non vengono smentite, mi viene detto che dobbiamo fare marcia indietro. Dobbiamo vestire il 'pupo': la sentenza del maxiprocesso lo consente perche' il movente doveva essere Cosa nostra". Negli ambienti investigativi, ha evidenziato il teste, "prima dell'arresto di Toto' Riina gia' si sapeva che i carabinieri lo avrebbero dovuto arrestare e la polizia doveva essere commissariata".