Mattia, un avolese adottato prima da Roma e poi da New York
Mattia ha 32 anni, si è laureato in Giurisprudenza alla Luiss Guido Carli di Roma nel 2010. È diventato avvocato nell’ottobre del 2013, lavorando per alcuni dei più importanti studi, tra cui quello di Paola Severino, ex ministro della Giustizia. Poi ha iniziato a lavorare per una delle più grosse società di consulenza al mondo con circa 300mila dipendenti. Ha un curriculum che farebbe invidia a chiunque. Lui è originario di Avola, la città della mandorla, ma è poi stato adottato prima da Roma e ora da New York. Non si definisce un “cervello in fuga”, perché non ha lasciato l’Italia per cercare lavoro all’estero. La sua partenza per l’America l’ha definita come "la voglia di scoprire qualcosa che non che non conosci e uscire fuori dalla mia comfort zone”. Noi abbiamo un po’ parlato con Mattia. Leggete un po’ cosa ci ha raccontato.
Cosa ti ha spinto a lasciare l’Italia?
Questa è una bella domanda, perché in realtà io non ho mai voluto lasciare l'Italia. O meglio, sono sempre stato attratto dall'estero e dagli Usa in particolare, ma il movente di questa nuova esperienza non è un atteggiamento di rigetto nei confronti dell'Italia che ritengo essere il paese più bello del mondo, bensì una voglia di scoperta dell’Estero. Sin dai tempi dell'università, quando fui selezionato per un Erasmus a Stoccolma di un anno (e non andai), ho sempre sognato di vivere all'estero. Quella volta all'Università non ebbi le palle (si può dire?) di lasciare il bel paese. Mi faceva paura abbandonare il Certo per l'Incerto, anche se, se ci penso adesso, sono stato molto più incosciente nel farlo a 31 anni. È stata anche, o forse soprattutto, una rivincita con me stesso e sono molto felice di averlo fatto. La voglia di scoprire qualcosa che non conosci ed uscire fuori dalla mia comfort zone, ecco questa e' la risposta alla tua domanda.
Di cosa ti occupi esattamente?
Mi occupo di fiscalità internazionale. Io e i miei colleghi offriamo consulenza a società multinazionali nell'ambito tax, ed Iva in particolare. Ti faccio un esempio: metti che una società vuole produrre una bevanda in Usa, la imbottiglia in Brasile, e la vende in Italia, Francia, Taiwan, Sud Africa ecc.. Noi assistiamo questa società nell’essere “compliant" (in regola) con tutti gli adempimenti Iva connessi ai vari passaggi della catena di produzione/distribuzione. Studiamo il modo per ottimizzare al massimo le normative vigenti nei diversi stati, per applicarle al business dei nostri clienti. Per fare ciò sono in continuo contatto con persone di tutto il mondo, di tutti gli Stati, che parlano tutte le lingue e così via. Ovviamente comunico in inglese.
C’è la tua ragazza che ti ha seguito a New York, se non sbaglio, saresti partito anche completamente solo?
La voglia di fare quest'esperienza era tantissima da sempre, l'opportunità mi è "cascata dal cielo", mi ci sono lanciato, e l'ho presa. Ma senza Martina non sarei mai partito. La scelta è stata presa assieme. "Se lo facciamo lo dobbiamo fare assieme”, ci dicevamo, siamo stati a discuterne per un po (manco troppo, una settimana). Alla fine abbiamo deciso di farlo. Dico sempre che lei è stata più coraggiosa di me nel fare una scelta che non aveva dentro. Io la mia scelta l'ho maturata nella vita, New York è solo stata la miccia che ha fatto esplodere quella dinamitica voglia di partire che avevo. Lei no, la più coraggiosa è stata lei e la ringrazierò a vita per aver appoggiato questa mia scelta. Senza di lei non lo avrei fatto.
Hai anche postato foto con altri siciliani…
Sapevo ci fossero tanti italiani a New York, ma non così. I primi giorni cercavo casa, e vi posso assicurare che a New York è molto più difficile trovare casa che lavoro. A un certo punto mi è arrivata la chiamata da Luca, un ragazzo avolese che avevo contattato perché sapevo vivesse qui. "Ou, ma unni si?"... lì ho cominciato a capire tutto. Mi sono trovato a parlare siciliano (avolese, nello specifico) con una vista mozzafiato sullo sfondo, lo skyline di New York. Il mio rapporto con la Sicilia è spasmodico, ne vado orgoglioso più di qualsiasi altra cosa. Quando mi chiedono “Di dove sei?" rispondo "Italy, Sicily", e ce ne fosse uno che non ti risponde "Wow, amazing (fantastico)", uno solo dico. Veniamo dal posto più bello del mondo e non possiamo nasconderlo. Lo abbiamo dentro il legame con quella terra. Sai che da quando sono a New York ho visto ed incontrato amici che ad Avola o in Italia non vedevo da anni? Gente che mi chiama e, "Ou Sugnu a New York", "Ou n’ama bbirriri" ecc ecc.. Non riesco a spiegarti la sensazione, non mi abituerò mai a tutto cio’. Le porte di casa mia sono sempre aperte in generale, ma per i siciliani di più, per gli avolesi di più. Adoro la mia Terra, amo la mia Avola, è parte di me ed il rapporto è viscerale. Detto ciò, qui è pieno di siciliani: infatti non appena sento che qualcuno lo è, attacco subito discorso, naturalmente in siciliano. È un legame troppo forte, che non lo si spiegare a parole.
Se potessi, torneresti in Italia, anzi, in Sicilia?
Sì, ovvio. Ma parliamo del condizionale che hai usato tu, Se potessi. RIbadisco, l'Italia è il paese più bello del mondo e non ci piove. Cibo, arte, musica, cultura, natura, paesaggi.... Mi piacerebbe utilizzare un'espressione siciliana per dire che siamo i migliori, ma data l'audience mi limito e dico che siamo i migliori. Per adesso mi godo quest'esperienza programmata per tre anni. In Italia vorrei tornare, ma dipende da troppe, troppe variabili. In Sicilia? Purtroppo non c'è posto per me adesso in Sicilia e mi piange il cuore nel dirlo. Ma sì, un giorno ci vorrò tornare, anche se, pure qui, le variabili sono troppe ed imprevedibili. Ho conosciuto italiani qui a New York che erano originariamente venuti per 6 mesi, ora sono qui da 30 anni. Non mi fare sbilanciare troppo. Diciamo che qui per ora sto più che bene.
Cosa ne pensi della situazione lavorativa italiana e siciliana?
Permettimi di essere drastico su questa risposta, Cecilia. Cosa vuoi che ti dica? Io sono venuto qui non per motivi lavorativi, vedi sopra. Non ho mai detto “Vado via dall’Italia perché il lavoro fa c…..” E, anzi, sono sempre stato benissimo a Roma, dove ho vissuto per 12 anni. Ma ora che sono qui mi rendo conto di come la situazione lavorativa sia anni luce lontana da quella italiana. Parlo prima in generale e poi ti faccio in riferimento specifico alla Sicilia. Sai Che quando mandi un curriculum qui è vietato mettere la foto e l'età del candidato? Sai che qui la gente a 50 anni si licenzia e comincia a fare un altro lavoro totalmente diverso? Andiamo in Italia. In Italia potresti farlo? In Italia mandi un curriculum e, quantomeno nel mio settore, a 27 anni ti dicono che sei vecchio, che cercano giovani di 23. In Italia ti licenzi a 40 anni (se hai la fortuna di farlo da solo e non lo fa il datore di lavoro), e sei fregato. Il concetto di “lavoro” qui è totalmente diverso, l’approccio è diverso. L'attenzione al lavoratore, alla sua qualità di vita, alla sua salute, a tutto, qui è al centro. Cosa che non accade in Italia. Io sono un avvocato, e per I primi due (se non tre) anni dopo la mia laurea non ho visto un centesimo, devi dire grazie se ti fanno lavorare in assenza di remunerazione. Siamo ai paradossi. Se racconti queste cose agli americani ti prendono per stupido, e non hanno tutti I torti… Dall'altro lato, si lavora come i pazzi, lavoro lavoro lavoro lavoro. Non gliene frega di come e quando, ma devi portare il lavoro compiuto. La meritocrazia è al centro di tutto qui. Non ti nascondo le mie difficoltà all'inizio nell'affrontate un sistema totalmente diverso. Quanto alla Sicilia, ne avrei troppe da dire, ma in realtà ho troppe domande e pochissime risposte. Ma come cavolo è possibile che siamo la Regione più bella d'Italia (e non ci piove, portami chi la pensa diversamente e ne parliamo), culla di culture, centro del Mediterraneo e delle antiche rotte commerciali… e ora siamo messi malissimo? Ma come te lo spieghi? Io non me lo spiego. Purtroppo la Sicilia, a livello lavorativo, non offre praticamente nulla e mi piange il cuore (lo ripeto) nel dirlo. Non tornerei mai in Sicilia per lavoro, non potrei, non adesso, non con questo lavoro.
La tua famiglia ti ha da subito appoggiato in questa scelta?
Sono certo che mia mamma ha sperato fino all'ultimo secondo che tornassi indietro. Ma non mi ha Mai ostacolato, mi ha sempre appoggiato. In tanti hanno provato a dissuadermi dal rincorrere il grande sogno americano, parenti, amici, conoscenti..."Ma chi te lo fa fare?" mi dicevano, ma adesso lo dico io a loro "Ma chi te lo fa fare a non provare a farlo?”. Giochi di parole a parte, l'entusiasmo attorno a me nella fase preparatoria è stato grande, era come se qualcosa mi spingesse a farlo. La mia famiglia mi ha supportato, sì.
Qual è la differenza lampante tra l’Italia e l’America? Raccontami un po’ il tuo approccio con una cultura lontana anni luce dalla nostra. Olè, non potevi farmi domanda migliore. Potrei scrivere un libro. Sai cos'è, che all'inizio pensi “Vabbè, ma tanto sto andando a New York, è Occidente, siamo uguali, la pensiamo allo stesso modo, agiamo allo stesso modo, mettiamo gli stessi vestiti, mangiamo le stesse cose..." ecc ecc. Adesso ti dico che non è così. A mio parere siamo culturalmente anni luce differenti, e non riesco a dire chi sia avanti o indietro, siamo solo troppo differenti. Agli americani rimprovero sempre una cosa: li ritengo un popolo molto rigido, diciamo che l’elasticità mentale e la flessibilità non sono le loro doti predominanti. Questa cosa è difficile da comprendere se non la vivi durante la vita quotidiana. Non so come spiegartelo, potrei farti mille esempi, ma te ne faccio uno che è paradossale. Un giorno entro in una gelateria, che ovviamente aveva un menù. Nel menù non sono presenti gusti semplici, tipo “Fragola e basta”, “Cioccolato e basta” ecc. Qui tutto è mischiato a qualcosa, con la banana, con gli sciroppi, le salsette e così via. Io chiedo "Scusi, vorrei del gelato al cioccolato per favore", e lei "E poi?", io "Nulla, cioccolato", lei "Ci metto la banana", io "No, solo cioccolato"…lei "Aspetta, devo chiedere al mio manager se lo posso fare"... Ero col mio amico Stefano, l'ho guardato ed ero incredulo… "Ma cosa devi chiedere, fammi sta cavolo di vaschetta al cioccolato e fammene andare no?", no, doveva chiedere. E perché doveva chiedere, perché nel menu non era compreso il gelato semplice forse? Boh, non ne ho idea, l'ho mandata in tilt con una richiesta semplicissima. Roba da pazzi. Chiedigli qualcosa che poco poco fuoriesce dalle proprie mansioni, e li distruggi. Ma questo capita tutti i gironi per le cose e nelle situazioni più diverse. Roba che ti fermi e dici "ma questi veramente lo fanno?”. Ci sarebbero troppe cose da dire, posso mandarti una nota audio? Una cosa interessantissima e alla quale noi italiani (e siciliani, peggio) facciamo fatica ad abituarci è il “giudicare le persone”. Qui non si giudica niente e nessuno, noi giudichiamo tutto e tutti. Da un lato credo che esageriamo, anche se abbiamo una parola buona per tutti, loro zero, non parlano, sembra che non abbiano opinioni e questo credo porti ad una sorta di ipocrisia e falsità nei rapporti. Il concetto di amicizia che hanno loro non è certamente il nostro. Lo definisco un po più superficiale, ma forse siamo noi che siamo troppo spasmodici?, non lo so. Ok stop, li ho già giudicati abbastanza. Detto ciò, fammi essere molto diretto perché non saprei come altro spiegarlo. Qui quasi non esiste l’invidia. Non sto parlando per me, ma in generale. Se qui fai qualcosa di buono, qualsiasi cosa, dal comprarti una maglia all’ottenere una promozione, qui ti fanno i complimenti, qui ti esaltano, qui gioiscono per te. Ovviamente non si può fare di un’erba un fascio, ma tendenzialmente è così. Noi? Siamo uguali? Reagiomo così? Siamo capaci di gioire delle gioie altrui? Pongo la domanda a chi sta leggendo, ponetevi la domanda e rispondetevi da soli. La mi idea è che non siamo tanto capaci di godere delle cose altrui e per il bene altrui. Siamo più pronti, a mio avviso, a trovare il difetto anziché il pregio. Anziché, pensare al nostro orto, pensiamo a rovinare quello dell'altro. E questo mi dà incredibilmente fastidio. Non riusciamo a prendere chi fa meglio di noi come esempio positivo da emulare, come esempio che ci spinga a rimboccarci le maniche e fare come lui o meglio di lui. No, è piu facile denigrare. Troppo facile e da perdenti direi. Sono certo che questa parte di intervista sarà soggetta a critiche negative probabilmente, ma è quello che penso. Potrei dire troppe cose, ma diciamo che siamo troppo diversi e adattarsi, almeno all'inizio, è stata durissima. Diciamo che sono sulla buona strada.
Anche tu appartieni alla cosiddetta Fuga dei Cervelli…
Ti ringrazio per avermi definito "cervello", quantomeno scientificamente. Scherzi a parte, la mia opinione al riguardo non può essere super efficace perché, come detto, non ho lasciato l'Italia per questioni di lavoro. Ma mi rammarica pensare che tanti ragazzi come me lo facciano e contribuiscano alla crescita e allo sviluppo economico di altri paesi, anziché del nostro. Credo si possa e si debba fare di più per I giovani. Assolutamente. Si dovrebbero incoraggiare le nuove attività, si dovrebbero creare opportunità, si dovrebbe… Si dovrebbero fare troppe cose, e siamo indietro. Una volta che si lascia il Belpaese, una votla che si prova l'estero, diventa difficile tornare indeitro, per troppi motivi, tra cui le condizioni di lavoro in Italia che non possono di certo definirsi favorevoli, e la precarietà, la poca certezza… Si dovrebbe fare di più sotto tutti i punti di vista, ma non sono un politico in grado di fornire soluzioni del genere.
Mattia, un consiglio che vorresti dare ai numerosissimi giovani disoccupati?
Ai giovani disoccupati il primo consiglio che dò è quello di rimboccarsi le macchine e trovare un lavoro confacente le proprie propensioni ed esigenze. Non me la sento di dire “Lasciate l’Italia", senza aver prima provato a viverci degnamente. Duole dirlo, ma purtroppo conosco tanta gente, o quantomeno "so di tanta gente", che si assesta su delle condizioni precarie senza nemmeno provarci. È vero, l'ho detto, c'è poco lavoro in Sicilia, ma ci si deve provare. Al momento in cui si rendono conto che il lavoro proprio non lo trovano, allora a quel punto si puo' provare a cercare altrove. Mi piacerebbe dire Usa, New York, se non fosse per problemi di visto. Sostanzialmente devi già avere un lavoro per ottenere un visto di permanenza negli Stati Uniti, diciamo che è un po' complicato. Ma si può provare altrove, all'interno dell'Unione Europea. Ho conosciuto gente che semplicemente spostandosi nel nord Europa è riuscita a trovare qualcosa. Il problema per noi è sempre uno, la Sicilia. Siamo troppo legati. Ci piace troppo. E ci dà cosi tanto di per sé, che ci accontentiamo di poco o nulla pur di viverci e starci. Grazie mille per avermi concesso quest’occasione. Ne avevo sempre parlato di questa esperienza, ma mai scritto. E’ stato bello sputare nero su bianco e spero questo possa destare un po’ di curiosita’ in chi legge. Un abbraccio alla mia Avola in particolare.
Per chi volesse seguire Mattia su Instagram, lo trovate con @matthiasasa
Cecilia Santoro